L'anima antifascista e popolare di un intero caseggiato, il Casone dei ferrovieri, la battaglia alla Manifattura Tabacchi
Lidia Gabbrielli detta “Lilli” nasce a Pisa il 24 settembre 1920. Il padre si chiama Primo, la madre Margherita Landucci. La famiglia Gabbrielli si trasferisce a Firenze perché Primo, fantino, trova lavoro come allenatore di cavalli all'ippodromo delle Cascine e abita in via Rinuccini 32. A Firenze il 29 ottobre 1924 nasce Vincenzina.
La loro prima casa fiorentina è in via delle Cascine dove nel 1940 sarà poi inaugurata la Manifattura Tabacchi. È una famiglia felice e unita. Primo è innamorato dei suoi cavalli, porta le figlie all’ippodromo. Nella tarda primavera del 1944 i nazisti, che occupano la città dal settembre precedente, sentono vicina la liberazione di Firenze e così cominciano a ritirarsi verso il Nord portandosi via tutto, anche i cavalli delle Cascine.
Primo li segue, non vuole lasciarli. “Lilli” lo accompagna alla stazione di Santa Maria Novella, lo saluta ed è l'ultima volta che lo vedrà. A Milano Primo ha dei parenti, sono i Milani e i Gabbrielli, famosi nel mondo dell'ippica. In una lettera, datata 6 giugno 1944, Primo chiede alla moglie di raggiungerlo a Milano con le bambine, chiede della salute di Vincenzina, che è cagionevole, assicura che avrebbe trovato una stanza per tutti e che sarebbero stati insieme.
Ma Primo non riesce a vedere riunita la famiglia, perché muore cadendo da una scala. Così hanno raccontato alle figlie. Le due sorelle e la madre Margherita abitano ora in via Petrella 42, a pochi passi dal “Casone dei ferrovieri”.
Il Casone è come un grande villaggio, un isolato composto da sei fabbricati di cinque piani, con un grande cortile interno dove vivono oltre duecento famiglie di ferrovieri tra la Manifattura Tabacchi e piazza Puccini.
Tutti si conoscono, si aiutano, è come un paese. Al Casone c'è un asilo, dove maschi e femmine stanno insieme, e uno spaccio, “La provvida”, gestito dalle Ferrovie. Nel grande cortile, su cui tutte le case affacciano, ci sono i lavatoi e al centro i bagni pubblici, perché nessuno ce l'ha ancora in casa. Tutta la vita del Casone scorre nel grande cortile, dove da piccoli si gioca e da grandi si fa “politica”, ci si conosce e ci si innamora. Intorno a questo grande isolato ci sono aie, pollai e campi. Al Casone ci sono i neri e i “bigi”: i primi sono fascisti, i secondi sono contro il regime.
La maggioranza dei ferrovieri però è “rossa” e antifascista. Nei dintorni del Casone in via Ponte alle Mosse verso piazza Puccini l’Esercito ha i fienili mentre in fondo alla piazza, che è un semplice slargo, verso il torrente Mugnone c'è il deposito del tranvai a vapore della linea per il quartiere di Brozzi. Nel 1938 al Casone Vincenzina conosce Creante Terrosi, detto “Dante”, e se ne innamora e “Lilli” si innamora del fratello Bruno Terrosi.
L'amore e la politica si mescolano, così le sorelle Gabbrielli entrano in contatto con le idee antifasciste dei Terrosi. Nel 1941 iniziano a sostenere il Soccorso Rosso, la raccolta di soldi per le famiglie degli antifascisti in carcere e al confino. Nel 1942 Creante è arrestato insieme ad altre 52 persone come appartenente al Partito Comunista e condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a 22 anni di carcere, da cui esce dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943.
Bruno, fidanzato di “Lilli”, è soldato in Albania, l’8 settembre 1943 è catturato dai tedeschi al confine con la Grecia e internato in un campo di concentramento nelle vicinanze di Stettino, nella Polonia nord occidentale.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 Vincenzina e Lidia entrano nella Resistenza. Sono entrambe nelle Squadre di Azione Patriottica (SAP) della II zona PCI, la zona Romito - Vittoria, Ponte di Mezzo, Rifredi e Careggi. Anche la madre le aiuta.
La casa di via Petrella, di appena due stanze, è un deposito di armi e medicine per i partigiani. Nessuno può sospettare di loro, sono tre donne sole.
Vincenzina è al fianco di “Dante” nei giorni della battaglia per la Liberazione di Firenze dove il Casone è luogo di scontri durissimi e strategici.
Nel Casone c'è tutto quello che serve per resistere: nei locali dell'asilo c'è un presidio sanitario per partigiani e civili della zona guidato dal dottor Alberto Pardi, sostituito poi da Antonio Piccioli, con le crocerossine Josè Cervelli e Maria Hrobat, c'è una mensa che distribuisce una minestra calda, c'è un locale per ricoverare le salme con le casse da morto fatte da un falegname ferroviere. C'è anche una commissione politica, che dopo l'arresto, provvede a custodire i fascisti più pericolosi della zona in locali che fungono da prigione.
Gli ingressi del Casone, una vera e propria fortezza, sono sbarrati da sacchi di sabbia e tutto è organizzato per resistere contro i tedeschi, asserragliati nella Manifattura Tabacchi, che hanno fatto del Mugnone la nuova linea del fronte che dalle loro postazioni, coperti, sparano anche sui civili.
Al Casone combattono i partigiani delle SAP, i partigiani della terza compagnia della Brigata Garibaldi Lanciotto guidati da Luciano Nati e Pietro Corsinovi “Pietrino” e della Brigata Garibaldi Sinigaglia e, in loro aiuto, una compagnia della Perseo, formazione di partigiani democristiani guidata dal sottotenente Rinaldo Bausi, con presente anche la staffetta Doretta Bonassoli. All'inizio c'è diffidenza verso la Perseo ma poi, dopo durissimi giorni di combattimenti fianco a fianco, ricevono gli onori delle armi dai partigiani della Sinigaglia e da quelli delle SAP. Achille di Carlo, Enrico Rigacci “Gogo”, Virgilio Santi e Mauro Petrucci sono i giovani partigiani del Casone che muoiono proprio nei giorni della Liberazione di Firenze.
Queste le parole di Rinaldo Bausi: “Non era una formalità, un semplice rituale militare. Era qualcosa di più, la testimonianza di uno spirito che sentivamo vivo in quei momenti: battersi per conquistare la libertà”. Le sorelle Gabrielli e Creante “Dante” Terrosi sono tra i ragazzi del Casone.
Per racimolare un po' di soldi mamma Margherita lava le camicie agli americani, “Lilli” è una ricamatrice e porta i suoi lavori in un negozio in centro. Quando Bruno torna dal campo di concentramento, lo riconosce a stento tanto è dimagrito. Si sposano nel 1947. Bruno è un bravo incisore dell'argento, hanno un figlio, Mauro e rimangono a vivere con nonna Margherita in via Petrella.
Nel 1948 Vincenzina sposa Creante che vince un concorso pubblico all'Ufficio del lavoro. Nel 1949 nasce la figlia Franca e negli anni '50 vanno ad abitare in via Forlanini.
Via Petrella è la casa di famiglia, dove i Gabbrielli e i Terrosi passano tutti insieme il Natale e dove ogni pomeriggio Vincenzina va a trovare la madre e la sorella.
Quando Bruno Terrosi muore nel 2003, “Lilli” si trasferisce dal figlio Mauro a Prato e lì muore il 12 dicembre 2003. Vincenzina muore il 14 novembre 2007, la sua salma riposa al cimitero di Rifredi, accanto a quella del marito Creante.
- Scheda di Lidia e Vincenzina Gabbrielli in Alberto Alidori, "Liberare Firenze per liberare l'Italia. Chi erano i partigiani. Memorie 1943-1945", a cura di Luca Giannelli, Scramasax, 2022
- A cura di Maurizio Bertelli e Donatella Masini, "Antifascismo e Resistenza nel rione di San Jacopino – Piazza Puccini", Firenze, 1992
- Giovanni Frullini, "La Liberazione di Firenze", Pagnini, 2006
- Renato Terrosi, "I ragazzi del Casone. La Resistenza nel quartiere delle Cascine di Firenze", Unicoop, 2005
- "Le crocerossine e la guerra a Firenze. Il Casone", in Comitato femminile antifascista per il 30. della Resistenza e della Liberazione in Toscana, "Donne e Resistenza in Toscana", Giuntina, 1978, pp. 17-20
La battaglia delle donne per la liberazione di Firenze al Casone dei Ferrovieri
Il Casone dei Ferrovieri, nella zona di Porta al Prato, è un grande edificio che diventa un presidio di lotta fondamentale contro le truppe tedesche alla Manifattura Tabacchi e sul Mugnone
È giusto anche rilevare che nel Casone dei Ferrovieri tutti gli abitanti presero parte all'organizzazione interna sotto il continuo esplodere delle bombarde lanciate dai tedeschi i quali avevano individuato nel Casone il Comando dei partigiani.
Tanto ci sarebbe da dire delle compagne che si prodigarono incessantemente in tutti i campi, specie nell'organizzazione riguardante l'alimentazione di tutti i combattenti.
Degno di ammirazione fu il Corpo sanitario comandato dal Dott. Pardi Alberto prima e dal Dott. Piccioli Antonio poi, composto dalla Crocerossina Josè Cervelli e dalla Crocerossina improvvisata Hrobat Maria dai compagni Pagnini Umberto, Pecchioli Edoardo, Ristori Silvano e dalle compagne Guerranda Santi e Fiorentini Narcisa.
Tutti indistintamente prestarono la loro opera, sia nell'organizzazione del Pronto Soccorso stesso, sia nel soccorso ai feriti, dimostrando un perfetto spirito di patriottismo ed in ogni circostanza un alto senso di umanità e di sacrificio, mettendo più volte a repentaglio la propria vita, per accorrere ovunque fosse necessaria la loro opera.
Lettura tratta da “Il Casone. Un anno di lotta contro i nazi-fascisti nel rione di Porta al Prato (Settembre 1943 – Settembre 1944)”, a cura della sezione del PCI “Adriano Gozzoli”, 1945
Le azioni delle partigiane fiorentine, le “strane” crocerossine
Memorie di Dina Ermini, partigiana sia in Francia che in Italia, segretaria del Comando Generale delle Brigate Garibaldi
Da un lato sabotaggio nelle fabbriche, dall'altro lavoro nelle strade in difesa dei cittadini, abbiamo fatto degli assalti anche dove c'erano dei razziati, li abbiamo liberati anche nelle strade.
Le donne si agganciavano ai camion dei tedeschi e liberavano gli uomini e poi li facevano andare sui tetti.
Poi abbiamo creato le squadre, squadre d'assalto, che erano dirette da Anna Nuti, un'operaia della Galileo di Rifredi. Le squadre d'assalto erano piccoline, staccate, perchè erano molto pericolose, una specie di GAP femminili con un'altra mansione. Cambiavano i cartelli indicatori per le strade, contavano i camion dei tedeschi che andavano verso Bologna, seminavano per la strada i chiodi a tre punte, assalivano i magazzini. Negli ultimi giorni abbiamo organizzato l'assistenza ai duecento e più partigiani nascosti a Firenze: poi io sono rimasta tagliata fuori di qua dell'Arno e la direzione di questo gruppo che portava da mangiare ai partigiani, fu data a Iva Rossi, la moglie di Rossi.
Per riuscire a lavorare anche con il coprifuoco prendemmo i lenzuoli di casa, ci facemmo delle vestaglie e ci mettemmo dietro una grande croce rossa e anche un fazzoletto in testa con la croce rossa.
Susanna Agnelli nel suo libro “Vestivamo alla marinara” dice che incontrava per Firenze delle strane crocerossine: queste strane crocerossine erano delle nostre partigiane con queste vestaglie fatte male, mentre le crocerossine italiane erano vestite tutte di seta e i tedeschi non sparavano.
Lettura tratta dal libro “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza (1943/1944)” pubblicato dall’Istituto Gramsci Toscano nel 1984