La storia delle Brigate partigiane, come si diventa un comandante, la battaglia per la Liberazione di Firenze
Aligi Barducci nasce a Firenze il 10 maggio 1913. Il padre, Duilio, è ferroviere alle Officine Grandi Riparazioni di Porta al Prato, la madre, Bruna Fanfani è sigaraia della Manifattura Tabacchi, che allora si trovava nell'ex convento di Sant’Orsola.
Figlio unico, amatissimo dai genitori, vive con la famiglia in via Benozzo Gozzoli 14.
Negli anni ‘20 il rione di San Frediano si era battuto contro lo squadrismo e ora, in pieno regime, mantiene clandestinamente il suo carattere ribelle, libertario e antifascista. Ci sono botteghe e tanti mestieri e un tessuto sociale che consente di avere spazi di tempo libero e di socializzazione con un ritmo diverso rispetto a quello della fabbrica.
Aligi frequenta le elementari alla scuola Petrarca e la secondaria inferiore, è un bravo allievo, sa farsi voler bene ed esercita sugli altri un forte ascendente. Ama studiare ma è costretto a interrompere gli studi al terzo anno della complementare per aiutare la famiglia, così inizia a lavorare nel negozio di uno zio. I suoi amici sono Marcello Frullini, apprendista falegname e Alvaro Pieraccini, apprendista pellicciaio.
I tre hanno un profondo amore e interesse per la cultura, in particolare la musica che ascoltano a casa di Aligi, l'unico a possedere una radio. Al Teatro comunale assistono a un concerto sinfonico per la prima volta: “La pastorale” di Beethoven. Scoprono la poesia, la filosofia, la letteratura e l'arte.
Il mentore dei tre è Gino Varlecchi, scultore e antifascista che ha lo studio al Conventino in via Giano della Bella, luogo che ospita i laboratori di artigiani, di pittori, di scultori, molti dei quali sono antifascisti.
Varlecchi, di umile origini, è uno scultore autodidatta, socialista, combattente della prima guerra mondiale, inteventista, diviene convinto antifascista e poi comunista. È Marcello Frullini a conoscerlo per primo, perchè lavora come apprendista falegname nel laboratorio del padre al Conventino e ne rimane colpito e così, nel 1932, lo presenta a Aligi. Varlecchi ha decine di libri, una piccola biblioteca composta anche di libri vietati dal regime, e tra i due nasce subito sintonia e stima.
Varlecchi gli presta i libri considerati eversivi come “La madre” di Maksim Gorkij, “Martin Eden” e “Il tallone di ferro” di Jack London, “L'armata a cavallo” di Isaak Babel e “La mia vita” di Lev Trockij che forse è il tramite per il primo contatto di Aligi con il Partito Comunista d'Italia. Attraverso il libro conosce Otello Montelatici, dirigente comunista, che lo mette in guardia dalle contraddizioni del “rinnegato” Trockij.
Al Conventino si legge la stampa clandestina, i giornali comunisti e il periodico “Giustizia e Libertà”.
Ogni domenica mattina Varlecchi e i tre giovani, che in quel periodo hanno tra i 15 e 17 anni, visitano i musei e le gallerie della città.
L'8 aprile 1934 Aligi, chiamato per il servizio di leva, viene inviato a Messina e aggregato al 3º reggimento fanteria Piemonte. È insofferente alla vita di caserma, al cibo scarso, alle fatiche inutili, al tempo sottratto al pensiero, e soprattutto alla mancanza di libertà. “Vi sono molti che, essendo disoccupati, restano sotto le armi; mi fanno assolutamente compassione. Comprendo le loro condizioni familiari, ma la libertà è la più alta meta a cui l'uomo possa aspirare, pane e acqua, ma libero!”
È reclutato poi per la guerra d'Etiopia e assegnato al quartier generale della divisione Peloritana I.
Si imbarca il 27 febbraio 1935 sulla Leonardo da Vinci e arriva a Mogadiscio, in Somalia, dove svolge mansioni come attendente, ciclista, portaordini, facchino, lustrascarpe, lavandaio, piantone. Ha un fisico mingherlino, magro “ma quanti colossi ho visto cedere, specialmente nei primi mesi. Io, il “mingherlino”, dopo nove mesi di colonia, sono sempre a posto”. Ha una fitta corrispondenza con i genitori che lo amano moltissimo, la mamma gli scrive “il fiore più bello manca esso è nei lontani deserti dell'Africa”.
Nel luglio 1936 è promosso caporale ad Harar in Etiopia.
Studia per diplomarsi ragioniere e trovare lavoro. Rientra in Italia, a Catania, il 20 dicembre 1936 e il giorno dopo è congedato. Si iscrive alla scuola Martini, si diploma ragioniere e si iscrive alla Facoltà di economia e commercio a Firenze nell’Anno Accademico 1940-1941.
Partecipa a vari concorsi del Ministero delle Finanze e vince più di un esame.
Lavora a Chieti alla Conservatoria delle ipoteche, ben voluto dagli amici e dalle ragazze, e nel maggio 1939 vince un concorso per l'amministrazione delle Dogane. Si trasferisce poi a Como come ufficiale doganale.
Il 10 giugno 1940 l'Italia entra in guerra e Aligi è richiamato alle armi.
È caporal maggiore, supera con il massimo dei voti l'esame per partecipare al corso allievi ufficiali a Pisa.
Nel 1942 è assegnato a Como, poi a Sanremo e infine inviato col grado di sottotenente a Pola, al corso speciale degli Arditi incursori di Marina. Ha il comando della 121° pattuglia della Compagnia nuotatori, chiamata la Potente Pattuglia. È benvoluto dai suoi soldati, quando è necessario un richiamo, li prende da parte, ci parla e li convince.
A Pola conosce la Resistenza, rimane colpito dalla lotta della popolazione locale e dal sostegno ai partigiani nonostante l'occupazione e la ferocia delle truppe italiane.
Nel maggio 1943 la Potente è inviata in Sicilia, nei pressi di Acireale. La cittadina è bombardata dalla Marina inglese, il suo reparto è vicino al paese e il sottotenente Barducci non esita a intervenire con la sua pattuglia per salvare i feriti. Ne salva 100.
Gli Alleati sono in Sicilia, la Potente si sposta in Calabria e arriva a piedi e con mezzi di fortuna in Lazio, a Santa Marinella.
L'8 settembre 1943 l'armistizio è firmato.
Aligi ha uno scontro drammatico con il capitano Paris, che intima agli uomini della Potente che vogliono tornare a casa, di continuare la guerra a fianco dei tedeschi. Aligi si oppone, l'armistizio è firmato, i soldati hanno il diritto di decidere che cosa fare “Noi vogliamo far la nostra guerra, la guerra che sentiamo!”. Il capitano tenta di estrarre la pistola ma Aligi lo immobilizza. Parte dei soldati torna a casa e Aligi Barducci si unisce a nord di Roma ai reparti della Divisione Ariete, comandata dal generale Carboni, e partecipa agli scontri contro i tedeschi.
Quando arriva l'ordine di proteggere la fuga del Re e Badoglio verso Pescara, Barducci, che è un ufficiale dell'esercito Regio, deve rivedere il suo pensiero e il concetto di patria, ora la patria è il popolo e la lotta è contro i tedeschi e i fascisti.
Torna a Firenze e si confronta con il suo vecchio amico Gino Varlecchi, organizzatore per il Partito Comunista del reclutamento di giovani da inviare alle formazioni partigiane e nei Gruppi di Azione Patriottica e del reperimento di armi, cibo e vestiario. Varlecchi cerca di capire quanto sia forte la sua motivazione di entrare nella Resistenza, Aligi è pur sempre un ufficiale e non ha ancora una fede antifascista e comunista. Intuisce che è in una fase di autentico cambiamento e lo mette in contatto con Augusto Guerrini, militante comunista. Viene comunque valutato con attenzione, da poco si è accostato al Partito Comunista ed è un ufficiale che ha fatto parte di un corpo speciale, ma la Resistenza ha bisogno delle sue competenze militari.
Guerrini gli affida dunque missioni di collegamento tra la città e il popolo alla macchia e con queste Aligi si guadagna la fiducia dei compagni.
Chiede di essere inviato in montagna, ritenendolo terreno a lui più congeniale e lo ottiene dopo alcuni colloqui con i vecchi antifascisti Gino Menconi e Luigi Gaiani, futuro commissario politico del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN). Alla metà di febbraio del 1944, insieme al suo ex sergente Roberto Pardini “Ardito” e ad altri, è accompagnato da Giotto Censimenti “Giottino”, all'Istituto farmaceutico militare, in via Reginaldo Giuliani, luogo di ritrovo per i giovani destinati a ingrossare le file partigiane sul Monte Morello.
Il gruppo, prelevato dal militante comunista Rindo Rindi, arriva alle pendici del Monte Morello. Ad aspettarli Giulio Bruschi, che li conduce alle Croci di Querceto dov'è la banda di Alfredo Bini, compagno di Aligi alle scuole elementari.
L'ufficiale Barducci si trova a convivere con le regole delle prime bande partigiane che non sono quelle di un esercito regolare: gli ufficiali, se vogliono, devono conquistarsi il comando sul campo.
Affianca i capi della formazione “Romanelli II” Bruschi e Bini, conquistandosi la fiducia dei partigiani, circa 70/80 persone, perché “era un compagno vero e proprio, un fratello, non aveva alcuna intenzione di erigersi a capo e di mortificare quello spirito di iniziativa cui tanti giustamente tenevano”.
Il suo nome di battaglia “Potente”, gli è suggerito da Roberto Pardini “Ardito”.
La prima azione in cui si distingue è quella alla Fonte dei Seppi, sul Monte Morello, il 4 marzo 1944. Una pattuglia di tre uomini si scontra con cinque soldati tedeschi uccidendone tre e facendo prigionieri gli altri due.
Le formazioni partigiane, sostenute dall'appoggio della popolazione di Sesto Fiorentino e della frazione di Querceto, si ingrossano e hanno bisogno di organizzarsi per difendersi al meglio dai tedeschi, che considerano la Toscana un crocevia di comunicazione e uno sbarramento all'avanzata alleata.
Le azioni partigiane possono rallentare la costruzione della Linea Gotica, e questa è una delle motivazioni per cui dai vertici nazisti è decisa l'operazione di rastrellamento che investe la Toscana e tutta la dorsale appenninica dalle Marche alla Liguria, affidata al generale delle SS Karl Wolff e operata dalla Fallschirm-Panzer-Division 1 Hermann Göring.
Il Comando militare del Partito Comunista di Firenze e il CTLN, con la collaborazione dei centri direttivi della Resistenza romagnola, ordinano alle formazioni partigiane del fiorentino lo spostamento sul Monte Falterona, con l'obiettivo di costituire un'unica divisione partigiana. L'azione ha inizio il 7 aprile 1944. Dal 1° aprile Potente è al comando della formazione, succedendo a Bini.
I partigiani della Romanelli II arrivano, il lunedì di Pasqua, a Montepulico alle falde di Monte Giovi, dove i contadini offrono loro cibo e riparo. Ripartono subito dopo, osservando da lontano i fuochi del rastrellamento sul Monte Morello. Lo stesso sta accadendo sul Falterona. Decidono perciò di fermarsi sul Monte Giovi accampandosi in località Le Capanne. È il 12 aprile 1944.
Lo spostamento sul Falterona, con l'obiettivo di riunire tutte le formazioni, fallisce.
In questo contesto avvengono le stragi di Vallucciole, Stia, San Godenzo, Bibbiena, Badia a Prataglia, Partina, Mosciano.
Le Brigate Garibaldi Faliero Pucci e Checcucci, su cui il comando militare del Partito Comunista contava, sono completamente sbandate. L'unica formazione rimasta è quella di Aligi, composta da una cinquantina di partigiani e da almeno 14 ex prigionieri sovietici. La formazione diventa così rifugio e riferimento per gli sbandati del Falterona, che in ordine sparso convergono sul Monte Giovi.
A maggio gli Alleati si avvicinano con l’obiettivo di liberare Firenze.
Le brigate non possono più agire in ordine sparso, è ormai necessario un unico comando ed è proprio "Potente" a riuscire nell’intento, facendo nascere la 22° Brigata Garibaldi Lanciotto.
Idea ipotizzata dai comunisti del Mugello Donatello Donatini e Giuseppe Maggi e dal dirigente comunista fiorentino Alessandro Pieri "Stella" ma non realizzata.
Potente riesce a mediare tra le diverse posizioni di brigate e comandanti e a trovare soluzioni anche per mantenere l'appoggio della popolazione, per esempio riguardo la distribuzione dei viveri.
Il cibo è scarso poiché i contadini sono costretti a consegnare gran parte dei loro raccolti a fascisti e tedeschi, gli ammassi, e per l'arrivo di un numero sempre più alto di sfollati. “Potente” e i suoi partigiani rilasciano ai contadini una ricevuta del CTLN in cui dichiarano la requisizione dei generi alimentari, scagionandoli da qualsiasi ritorsione da parte degli agenti del governo.
Il sistema congegnato è semplice: sulla carta del CTLN si scrive il doppio della cifra da consegnare al governo, metà va al contadino che la nasconde e poi la vende sul mercato libero, metà ai partigiani.
Ci sono inoltre molti altri problemi tra cui il reperimento delle armi perché non arriva alcun aviolancio dagli Alleati e l'arrivo numeroso di reclute, sfuggite alla chiamata di leva dell'ultimo richiamo “del perdono” del 25 maggio, con cui la Repubblica Sociale perdona i renitenti e i disertori che si presentano ai distretti. All’assenza di rifornimenti da parte degli Alleati si rimedia con assalti a caserme e a soldati tedeschi e fascisti.
A metà maggio del 1944 “Potente” è a Firenze con i comandi cittadini. Le forze antifasciste hanno dato vita al Comando militare toscano del Corpo Volontari della Libertà, il “Comando Marte”.
Così lo ricorda Liliana Benvenuti “Angela”, staffetta del Comando Marte: “Potente l'ho conosciuto in una riunione del Comando militare del CTLN a Porta Romana, a casa di Nello Bernini… Lui e i vertici del comando militare del CTLN si erano riuniti per organizzare i piani per la liberazione di Firenze… Potente era veramente una personalità di eccellenza. Era serio, intelligente, preparato, mi colpì il fatto che prima di parlare ascoltò tutti gli altri... Era una persona davvero in gamba, direi un portento, era al di fuori della mediocrità”.
Rientra sul Monte Giovi il 18 maggio con l'ordine di trasferire le formazioni sul Pratomagno, un massiccio sicuro che può proteggerle in attesa della battaglia finale per la Liberazione di Firenze. Il 21 maggio inizia il trasferimento, preceduto dalle staffette che controllano il territorio.
Il tragitto inizia da località Tamburino vicino Pontassieve per poi procedere verso Ponte allo Spalletti, Pievecchia, Madonna dei Fossi, il Gualdo, il passo della Consuma, Montemignaio, La Casa del vento, Pian Scaglioni.
L'8 giugno 1944, all'Uomo di Sasso una delle vette del Pratomagno, nasce formalmente la 22° Brigata Garibaldi Lanciotto: “Potente” è il comandante militare, Giulio Bruschi “Berto” il commissario politico, Romeo Fibbi il vicecomandante, Alessandro Pieri “Stella” il vicecommissario e Rindo Scorsipa “Mongolo” il capo di stato maggiore.
La brigata è suddivisa gerarchicamente in Compagnia, Distaccamento, Squadra e ogni livello replica questo organigramma. Le compagnie della Lanciotto sono dislocate in quattro luoghi. Il comando di brigata, di 40 uomini, sta all'Uomo di Sasso e i collegamenti sono tenuti da decine di staffette.
Ci sono le sezioni: Intendenza per i rifornimenti e il vettovagliamento, Sanitaria per l'assistenza medica con un ospedale da campo in baracche di carbonari, Informazioni per reperire qualunque notizia sui nemici e sulla popolazione, utile alla Resistenza.
“Potente” può contare su una brigata di 400 uomini. Il comandante è già leggenda, lo immaginano possente, forte e armato di tutto punto, “invece era magro, biondo e con un modo di fare piuttosto fine”.
Ennio Sardelli “Fuoco” arriva in Pratomagno da giovane recluta. Su un cavallo vede Rindo Scorsipa, “Mongolo”, il Capo di stato maggiore. I due si conoscono, sono entrambi di San Frediano. Segue un giovane con pantaloncini corti, che gli chiede di fare il cambio di pantaloni. Fuoco ha i pantaloni lunghi. Il ragazzo con i pantaloncini corti va spesso a cavallo e si graffia le ginocchia. Se li scambiano, sulla stoffa dei pantaloncini c'è la scritta "Potente." Il leggendario Potente è il giovane dei pantaloncini corti e illustra alle reclute la dura vita del partigiano:
si mangia quando il mangiare c'è, si dorme ovunque, anche all'aperto, i tedeschi e i fascisti ci attaccano e noi li attacchiamo e infine traccia una linea con un bastone. “Chi non se la sente di proseguire va dall'altra parte della linea e lo si riaccompagna vicino ad una strada, in modo che possa tornare a casa. Naturalmente gli si leva le scarpe!”
C'è molta attenzione alla disciplina e all'autodisciplina dal momento che non è un esercito regolare. “Potente” smussa, con l'aiuto del commissario politico “Stella”, le rigidità dell'essere stato un ufficiale.
La formazione politica avviene con “l'ora politica”, dove i commissari, vecchi antifascisti, spiegano le ragioni della lotta. I giovani non sono abituati a discutere, sono stati in silenzio per venti anni.
È dall'ascolto dei suoi commissari che “Potente” si convince dell'idea comunista e probabilmente chiede la tessera del partito da avere a guerra finita.
Sul Pratomagno i partigiani di “Potente” fanno azioni di sabotaggio, guerriglia, interruzioni stradali.
Alle 6 del 29 giugno 1944 la Lanciotto si scontra in località Pagliericcio con repubblichini, saliti con il fazzoletto rosso al collo per ingannare i partigiani, e i tedeschi della Brandenburg.
È l'inizio della battaglia di Cetica a cui “Potente” partecipa scendendo dal Varco di Gastra e portando a spalla, ferito, Amedeo Innocenti “Mascotte”.
La battaglia di Cetica conta 13 uomini uccisi dai tedeschi tra cui un ragazzo di 15 anni e tra le 160 e le 200 case incendiate e magazzini razziati.
Alla fine della giornata saranno contati dodici partigiani e undici civili fra le vittime dell'attacco, gli aggressori avranno perso cinquantacinque soldati.
Un costo umano alto ma un successo militare, gli stessi tedeschi giudicano insufficienti le loro forze per combattere i partigiani. Eppure “Potente” è scettico, dubita del successo per l'alto costo umano pagato, “macerie fumanti” non valgono la vita di un partigiano.
L'8 luglio 1944 il CTLN decide di istituire un'unica Divisione denominata Arno formata dalle Brigate Lanciotto, Sinigaglia, Caiani e Fanciullacci. Aligi Barducci “Potente” è il comandante, Danilo Dolfi “Giobbe” il commissario politico, Gino Garavaglia “Gino” il vice comandante, Riccardo Gizdulich “Capitano Bianchi” Capo della sezione operazioni militari, Alessandro Pieri “Stella” capo della sezione amministrativa, Attilio Bertorelle “Colonnello” il capo di stato maggiore. Gli ordini e le direttive per arrivare a Firenze sono del Comando Marte.
"Potente" illustra gli itinerari proposti ai comandanti delle brigate, come ricordato da Fernando Gattini “Lupo”: “Dobbiamo assolutamente evitare scontri, anche nel caso constatassimo di essere più forti. L'obiettivo è uno solo: penetrare in città prima degli Alleati o contemporaneamente a loro. Le difficoltà sono molte e non sarà facile, ma neppure impossibile. Ce la faremo.”
Il capolavoro militare di “Potente” è lo spostamento, durato giorni, della Divisione Arno dal Pratomagno verso Firenze attraverso le linee tedesche, “di podere in podere”, aiutati dai contadini conoscitori del territorio e dalle staffette che avvertono del pericolo.
Il 4 agosto nella zona tra il Poggio dell'Incontro e Villamagna, tra Bagno e Ripoli e Pontassieve, ha il primo contatto con gli Alleati, un maggiore della V divisione canadese.
Fa da tramite la figlia di un contadino che cerca “Potente” e “Giobbe”, i due pensano ad un'imboscata ma poi, protetti da un servizio di pattuglie e con le armi in pugno, ci vanno.
La Divisione Arno supera tutti gli ostacoli e giunge a Firenze per l'insurrezione finale.
Il Comando di divisione è a Villa Cora: “Arrivammo a Porta Romana accolti dall'entusiasmo e dalla commozione della popolazione che aveva preparato per noi la strada coperta di fiori. La sera stessa alloggiammo tutti a Villa Cora, dove si insediò il Comando di Divisione”.
Varlecchi, nelle SAP della I zona, rivede Aligi e avverte i genitori che il figlio sta bene, presto li andrà a trovare ed è un grande comandante partigiano. “Potente” arriva dai genitori quasi in trionfo. L'abbraccio è commovente e alla mamma racconta di non essere mai stato baciato e abbracciato così tanto: sono l'affetto e la riconoscenza dei fiorentini, uomini e donne. La mattina dopo saluta i genitori e con la sua camicia rossa torna a Villa Cora. Sembra un distacco di poche ore e invece sarà per sempre.
La preoccupazione di Potente è il disarmo dei partigiani considerato che gli Alleati, liberate le città, li smobilitano: “Questa prospettiva era per lui un'ossessione, lo rendeva furibondo”.
I partigiani, di fronte alla consegna delle armi, si oppongono uniti.
“Potente” con il colonnello Bertorelle tratta la questione con il colonnello Jones Benton il 6 agosto a Villa Torrigiani. Scambia la non consegna delle armi con le operazioni di bonifica dell'Oltrarno, riservando ai partigiani il compito di scovare i franchi tiratori fascisti, appostati alle finestre, che sparano su tutti, anche su donne e bambini.
La portata della mediazione è rilevante perché per la prima volta gli Alleati sono costretti ad ammettere la collaborazione dei partigiani: è un riconoscimento politico e militare della Resistenza.
Queste le parole di "Potente" ricordate da Fernando Gattini “Lupo”: “Questi uomini non intendono a nessun costo, abbandonare la propria arma, abbandonare la lotta. Vede, colonnello, molti di loro sono disarmati perché la loro arma l'hanno nascosta, non intendono cederla a nessuno. È l'arma che hanno strappato al tedesco, al fascista costata quasi sempre del sangue. Chi può pretenderla? Essi chiedono di continuare a combattere per Firenze e per l'Italia”.
Ai partigiani della “Sinigaglia”, supportati da soldati del 14° reggimento canadese e dalle SAP d'Oltrarno, è assegnata la bonifica d'Oltrarno, autorizzata da “Potente” l'8 agosto. L'operazione è programmata per l'alba del giorno successivo.
Gli abitanti dell'Oltrarno devono sgomberare le case lasciando i portoni aperti. I cecchini si nascondono nei palazzi, nelle soffitte.
La sera dell'8 agosto è nel cortile del Distretto militare in piazza Santo Spirito da dove segue le operazioni. Tutti vogliono parlare con lui, anche Don Bruno Panerai, che riporta le lamentele delle famiglie d'Oltrarno che chiedono di rimandare lo sgombero. Forse una spia o un cecchino indica ai tedeschi, dotati di mortai e che sono al di là dell’Arno in piazza Vittorio Emanuele, l'esatta collocazione del Distretto e la presenza del capo partigiano.
Un colpo di mortaio si abbatte sul Distretto e le schegge uccidono sul colpo il patriota della I zona Mario Sentini e un civile, feriscono il tenente colonnello Cesare Amici Grossi e un maggiore inglese. Feriti lievemente anche Roberto Pardini “Ardito”, Amedeo Innocenti “Mascotte” e Vittorio Meoni ”Chimico”.
“Potente” ha il volto sanguinante e viene portato all'ospedale da campo di Pian dei Giullari, lo accompagna “Chimico” che ha bisogno di cure per il piede slogato. “Potente” si lamenta di un dolore alla gamba e al ventre, la ferita all'addome è grave ed è portato d'urgenza all'ospedale di Greve in Chianti dove muore all'alba del 9 agosto.
“Chimico” raccoglie le sue ultime volontà “Avanti Divisione Garibaldi Arno! Muoio contento, toglietemi questa camicia rossa e fatela sventolare sulla città, quando sarà liberata. Vi raccomando i miei genitori: confortateli”.
Viene sepolto in modo rudimentale nei pressi dell'ospedale Rosa Libri di Greve in Chianti poi i partigiani Nello Bernini e Franco Burresi, arrivati con mezzi di fortuna, ritrovano e identificano la salma e la portano a Firenze a Villa Cora e fanno di tutto perché sia esposto per il saluto dei compagni ma non è possibile.
I funerali di “Potente” si tengono il 12 agosto alla presenza dei genitori, dei partigiani della popolazione e dei vecchi amici e compagni Gino ed Emirene Varlecchi e Otello Montelatici, di una banda militare e di un picchetto d'onore della divisione canadese. Il corteo funebre da Villa Cora risale il viale del Bobolino fino a Piazzale Galileo e lì si scioglie. I partigiani cantano sottovoce una nenia solenne e un alto ufficiale dell'Allied Military Government porge le condoglianze ai genitori. La Divisione Arno da quel momento prende il suo nome di battaglia.
“Potente” riposa al cimitero di Soffiano, a Firenze, nella Terrazza dei partigiani ed è decorato con la Medaglia d'oro al valor militare.
- Scheda di Aligi Barducci in Alberto Alidori, “Liberare Firenze per liberare l'Italia: chi erano i partigiani. Memorie 1943-1945”, a cura di Luca Giannelli, Firenze: Scramasax, 2022
- Orazio Barbieri, “Ponti sull'Arno”, Editori Riuniti, 1975
- Orlando Baroncelli, “Testimonianze della Resistenza toscana (1943-1945). Gli ultimi partigiani e resistenti raccontano le loro storie”, LibriLiberi, 2015
- Mauro De Lillo, “Potente” e la guerra partigiana”, Tipografia Bandettini, 2006
- Carlo Francovich, “La Resistenza a Firenze”, La Nuova Italia, 1975
- Giovanni Frullini, “La liberazione di Firenze”, Pagnini, 2006
- Stefano Gallerini, “Antifascismo e Resistenza in Oltrarno. Storia di un quartiere di Firenze”, Zella, 2014
- Fernando Gattini, “Le nostre giornate”, La Pietra, 1979
- Franco Quercioli, “Mappa dei partigiani. Firenze 1944. Antifascismo e Resistenza nel Quartiere 4”, Cd&V, 2019
- Gino ed Emirene Varlecchi, “Potente. Aligi Barducci. Comandante della Divisione Garibaldi “Arno””, Feltrinelli, 1975
Potente, gli Alleati, l'arresto di due staffette
Una delle arrestate è la sorella di Bruno Fanciullacci, partigiano dei Gruppi d'Azione Patriottica (GAP) promossi dal PCI, Medaglia d’oro al valor militare e proclamato nel 1944 eroe nazionale dal Comando generale delle Brigate Garibaldi
Leggiamo le memorie di Dina Ermini, partigiana sia in Francia che in Italia, segretaria del Comando Generale delle Brigate Garibaldi
Il giorno della liberazione dell'Oltrarno gli alleati arrestarono la sorella di Fanciullacci, che era una mia staffetta, e un'altra compagna, anche quella una mia staffetta, perché avevano rapato una fascista. Vennero arrestate e portate al comando, alla villa dell'ex podestà di Firenze, da quelli della Militar Police. Sono venuti a chiamarmi al comando, dicendomi: “guarda Franca, hanno arrestato le due staffette.”
Io, insieme a sei o sette di queste nostre compagne, siamo andate al comando ma il comandante che dirigeva la parte già liberata non c'era e ho parlato con un maggiore e con un capitano, reazionari al massimo, e mi dissero: “che cosa vi credete di essere, che cosa credete di fare? Noi siamo venuti qui mica per fare la lotta a Mussolini e al fascismo, siamo venuti qui per fare la guerra, questa ve la vedete voi.”
Io gli ho spiegato che una di queste staffette era la sorella dell'eroe Fanciullacci, che il fratello era stato arrestato proprio per una spiata, il meno che potevano fare, era stato quello, perché poi io gli ho detto che avevamo anche la possibilità di farla fuori, perchè era una spia.
E poi gli dico: “Se entro le 8 stasera non mi liberate queste due partigiane, io vi do l'assalto al comando. Vi porto seimila donne. È con grande dolore che vi dico queste cose, perchè noi non vogliamo combattere contro di voi ma vogliamo combattere contro i tedeschi, ma voi mi ci portate a questo, non possiamo noi ammettere voi ci arrestiate due partigiane.” Lui disse: “Noi riferiremo al comandante.”
Mentre io esco dalla villa, dopo aver discusso per più di un'ora, mentre mi aprono il cancello della villa dell'ex podestà di Firenze, vedo una macchina e da questa macchina scende Potente e mi saluta e dice: “Franca, che cosa fai qui?”
Io gli racconto il fatto e lui mi dice “brava” e mi stringe di nuovo la mano “ora io ho l'appuntamento con il generale e parlerò di questa cosa, hai fatto molto bene anche a minacciarlo.”
Dopo neanche un'ora, Potente andava lì per discutere per riprendere le armi, per andare a combattere, perché non ci permettevano ancora di combattere.
Verso le una e un quarto arriva con una faccia sorridente al nostro comando che era vicino lì, a Porta Romana, e mi dice: “Franca, vittoria. Ho ottenuto che stasera alle otto le due partigiane vengano rilasciate e abbiamo ottenuto anche di riprendere le armi.”
La sera alle otto non ne ho portate seimila, ma alcune centinaia e le ho fatte sfilare lungo i muri, perché ci sparavano dalle finestre, e abbiamo aspettato.
Non era finito il rintocco delle 8 la sera che le partigiane uscivano.
Lettura tratta dal libro “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza (1943/1944)” pubblicato dall’Istituto Gramsci Toscano nel 1984
Potente e il regalo di una rivoltella, Firenze, agosto 1944
Memorie di Dina Ermini, partigiana sia in Francia che in Italia, segretaria del Comando Generale delle Brigate Garibaldi
Poi un altro particolare, un particolare di colore: quando sono arrivati i partigiani, dopo che Roasio aveva finito di parlare a Porta Romana, Potente mi ha regalato una rivoltella a nome della Divisione Arno e mi ha detto: “Franca te la regaliamo a nome della nostra divisione, tu sai che siamo dei soldati senza uniformi ma che abbiamo combattuto, abbiamo fatto la guerra, e continueremo a fare la guerra; ma abbiamo fatto la guerra perché volevamo la pace. Facciamo tutti insieme in modo che queste armi non abbiano più a sparare.”
Queste furono le parole di Potente e mi regalò a nome della Divisione la rivoltella e io l'ho ancora nascosta: è un pacco rilegato in un fazzoletto di punizione.
Lettura tratta dal libro “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza (1943/1944)” pubblicato dall’Istituto Gramsci Toscano nel 1984