Gerhard Wolf

Un console tedesco a difesa della città

Gerhard Wolf, nasce a Dresda il 12 agosto 1896, è il settimo figlio di una famiglia numerosa. Il padre, Eduard, è un facoltoso avvocato, la madre Martha Elisa Bienert, muore quando Gerhard ha appena 8 anni. Alla sua morte è allevato dalla sorella diciannovenne Gertraud. 

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, diciassettenne, si trova in vacanza a Mosca, bloccato in territorio nemico dove ha modo di vedere prigionieri tedeschi e austriaci avviarsi, stremati e affamati, verso i campi di concentramento in Siberia. 

Nel maggio 1915 ha il permesso di rientrare in Germania, si arruola nel 17° reggimento ulani come allievo ufficiale, equivalente a sottotenente. Combatte in Lettonia e Albania, meritandosi varie medaglie, fra cui la Croce di ferro di prima e seconda classe. Smobilitato nel 1919, torna ai suoi studi di storia dell'arte e filosofia all'università di Heidelberg. Si laurea poco dopo e si perfeziona a Parigi e a Ginevra. Suo amico e compagno di studi è Rudolf Rahn, futuro Reichskommissar, plenipotenziario e ambasciatore presso la Repubblica Sociale Italiana a Salò. Nel 1927 è assunto al Ministero degli esteri, dal 1929 al 1933 è segretario di legazione a Varsavia, poi è trasferito a Roma, in Vaticano. 

Nel 1933 si sposa con Hilde. 

Il 1933 è l'anno dell'ascesa al potere di Hitler in Germania e Wolf si domanda quale sia il modo migliore per opporsi. In Vaticano ha un colloquio con monsignor Ludwig Kaas, leader del partito di centro in Germania che nel 1933 ha approvato Hitler e lo scioglimento dei partiti, ma ora è amareggiato dal regime hitleriano. Dice a Gerhard: “Il miglior modo di battere i nazisti è lavorare al loro fianco”.

Wolf continua a farsi questa domanda e ad invitare a casa sua, a Roma, intellettuali di origine ebraica come Edgar Salin, suo professore all'Università di Heidelberg. 

Il suo comportamento è segnalato a Berlino, e viene indicato come “un liberale democratico amico dei semiti”. 

Nel 1937 è trasferito a Parigi. Nel 1938 è invitato in modo deciso a iscriversi al Partito Nazista, pena le dimissioni oppure il rientro in patria e il divieto per il futuro di missioni all'estero. Ai primi di marzo del 1939 Wolf entra nel Partito Nazista, la sua tessera d'iscrizione è la nr. 7024445. 

Sua moglie Hilde si rifiuta di aderire alla Nationalsozialistische Frauenschaft, l'organizzazione femminile nazista e il gesto è segnalato nelle note personali di Wolf. 

Nello stesso anno, poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, è nominato capo di una sezione del Ministero dell'educazione e, in questa veste, nell'agosto 1940, accompagna il Ministro dell'istruzione e dell'educazione del Reich Bernhard Rust a Firenze. 

Quando la Francia, in poche settimane, crolla di fronte all'esercito tedesco, Wolf capisce che i trionfalismi che si respirano a Berlino non gli appartengono, così, saputo del posto vacante di console a Firenze, chiede di esservi trasferito. Adotta la massima di Platone “l'uomo cerchi di evitare il pericolo, se vuole sopravvivergli”.

Gerhard Wolf arriva a Firenze il 7 novembre 1940, poche settimane dopo la seconda visita di Hitler alla città. Con lui la moglie Hilde, la figlia Veronika di 5 anni e una litografia di Goethe, uno dei suoi autori preferiti. La loro prima sistemazione è l'Hotel Minerva in piazza Santa Maria Novella. 

Si trasferisce poi alla sede del consolato tedesco, in via de' Bardi 20, dove è ospitata anche la Missione evangelica tedesca. Il pastore occupa il piano alto, al console è riservato il piano di mezzo con quattro stanze. Il suo ufficio si affaccia su un giardino di oleandri e accanto c'è quello dei suoi collaboratori, Hans Wildt, metà italiano e metà tedesco e Erich Proppe. Entrambi hanno tenuto corsi alle Facoltà di lettere e magistero e sono entrati in consolato come interpreti.

Il primo gesto di Wolf è spostare il ritratto del Fuhrer dalla parete di fronte alla sua scrivania alla parete dietro il suo tavolo e appendere al suo posto la litografia di Goethe. A chi gli chiede il perché, risponde: “Chi viene a trovarmi ha il piacere di ammirare le sembianze del nostro Fuhrer”.

Ha rapporti con l'élite fiorentina e con la comunità anglofiorentina, tanto da essere considerato uno snob, e rapporti di collaborazione e amicizia con Friedrich Kriegbaum, direttore del Kunsthistorisches Institut il prestigioso Istituto di storia dell'arte tedesco che ha sede in piazza Santo Spirito 9.

Nei primi mesi del 1941 Wolf con la famiglia si trasferisce a Villa Le tre pulzelle a Fiesole, affittata dall'americana signora Derby. Il personale di servizio conta una cuoca, un giardiniere e un autista. Wolf è sempre in guardia dalle spie continuamente inviate da Berlino per controllarlo. 

È in contatto con la Resistenza in Germania, fra gli altri, con il generale Hans Oster, braccio destro dell'ammiraglio Wilhelm Canaris, che gli illustra piani per l'eliminazione di Hitler. Tra i suoi amici la scrittrice antinazista Hanna Kiel, fuggita dalla Germania, e da tempo residente a Firenze.

Alla caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, Firenze e i fiorentini festeggiano, sembra che la guerra possa finire da un momento all'altro, addirittura si crede possibile uno sbarco degli angloamericani a Livorno, a Venezia, a Trieste. Dalla Germania arrivano ordini confusi e contraddittori. 

A Wolf, prima è ordinato di organizzare il rimpatrio della colonia tedesca poi di attendere nuove istruzioni. In ogni caso, per precauzione, la moglie e la figlia si trasferiscono in Svizzera.

L'8 settembre 1943 l'Italia firma l'armistizio. 

Il 9 Wolf riceve l'ordine di far partire da Firenze l'intera colonia tedesca. Lascia quindi Firenze con il suo collaboratore Wildt e il direttore Kriegbaum. L'Istituto tedesco è preso in custodia da Giovanni Poggi, soprintendente alle Gallerie, i documenti sono presi in consegna da Hanna Kiel, che li porta a Carlo Steinhauslin, console svizzero a Firenze. Erich Poppe raggiunge poi Wolf, Kriegbaum e Wildt alla stazione, prendono tutti un treno per Bolzano. Dall'11 settembre 1943 i tedeschi sono i padroni di Firenze che è sotto una cappa di tristezza e angoscia. Il colonnello von Kunowski si insedia in piazza San Marco occupando il comando del corpo d’armata e richiama con urgenza Wolf, che rientra in città il 20 settembre 1943. 

Il console comincia la sua opera silenziosa e diplomatica per proteggere opere d'arte, prigionieri politici e ebrei, fiorentini e non, dalla sicura deportazione.

Uno su tutti lo storico dell'arte americano di origine ebrea, Bernard Berenson che vive a Firenze a Villa I Tatti, la sua residenza piena di libri rari e opere d'arte. 

La Gestapo, la polizia segreta della Germania nazista, chiede al console dove si trova l'anziano Berenson. Wolf risponde che, a quanto ne sa, si trova in Portogallo. Una notizia totalmente falsa, che salva la vita allo storico dell'arte, nascosto dai marchesi Serlupi Crescenzi a Villa Le Fontanelle poco fuori città. Il marchese Serlupi è ambasciatore di San Marino presso la Santa Sede, la villa gode di extraterritorialità.

Il 25 settembre 1943, sotto il primo bombardamento su Firenze, muore Friedrich Kriegbaum, direttore del Kunsthistorisches e amico di Wolf. Lo estraggono dalle macerie, sepolto dai libri della sua biblioteca. 

Gerhard si adopera nelle trattative con i comandi tedeschi per far dichiarare Firenze “città aperta”, considerato il particolare interesse storico e artistico allo scopo di evitarne la distruzione, insieme al  diplomatico romeno Nicolae Petrescu Comnen, al cardinale Elia Dalla Costa arcivescovo di Firenze, al console svizzero Carlo Steinhauslin proprietario della banca omonima in via de' Sassetti. Wolf vuole evitare a Firenze distruzioni e danni inutili. Confida alla carissima amica Hanna Kiel di voler saltare in aria con il Ponte Santa Trinita, tanto lo ama.

Esercita pressioni per far liberare dalla fucilazione gli antifascisti Giancarlo Zoli, Giuseppe De Micheli, Gaetano Pacchi e Cesare Claretto, arrestati come rappresaglia contro l'azione delle Squadre d’Assalto (SAS), che ha fatto saltare la centrale telefonica in via Cantagalli il 7 luglio 1944, e contro l'attentato in via Nazionale agli alloggi della gendarmeria tedesca. I quattro sono liberati, anche perché i tedeschi avevano appena ucciso una dozzina di antifascisti, tra cui Elio Chianesi detto “il babbo”, comandante dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) fiorentini.

Esercita pressioni per liberare dalle torture e dalle sevizie di Mario Carità molti antifascisti, tra i quali Ferdinando Pretini “Penna” e Luigi Boniforti.

In una lettera a Rahn scrive “So che lo SD manca d'uomini e deve ricorrere a certi italiani che si danno le arie di eroi senza paura, mentre sono soltanto assassini che destano orrore”.

Riesce ad avvisare molti ebrei e a procurare dei documenti per fuggire, tra questi il pittore Rudolf Levy, amico di Kriegbaum. Il pittore abita alla pensione Bandini a Palazzo Guadagni di piazza Santo Spirito 9 ma durante l’occupazione tedesca si nasconde in una torre in borgo San Jacopo. Spesso torna alla pensione per dipingere nella sua camera, ed è lì che trova ad aspettarlo due sedicenti collezionisti d'arte che in realtà sono uomini della Gestapo in abiti civili. Levy è arrestato il 12 dicembre 1943 e portato al carcere delle Murate. Il suo viaggio continua per Milano, al carcere di San Vittore e infine il 30 gennaio 1944 sul treno per Auschwitz, da cui non tornerà.

Nei giorni che precedono la liberazione di Firenze, le più importanti cariche tedesche e repubblichine lasciano la città, depredando e rendendosi responsabili di furti e saccheggi, lasciando distruzione e ogni ostacolo possibile per rallentare l'avanzata alleata.

L’obiettivo è ritirarsi dietro il blocco della Linea Gotica, il sistema di fortificazioni costruito nell'Italia centro-settentrionale per rallentare e fermare l'avanzata anglo-americana verso nord. Per lo stesso motivo saranno minati i ponti di Firenze con l'Operazione Feuerzauber.

Il 28 luglio 1944 Wolf lascia Firenze per Villa Bassetti di Fasano del Garda, sede dell’ambasciata tedesca, dove il suo amico d’infanzia Rudolf Rahn esercita la funzione di ambasciatore tedesco presso la Repubblica Sociale Italiana.

Si accavallano le informazioni sulla dichiarazione di rendere Firenze “città aperta”.

Wolf ha appena fatto recapitare un messaggio dal console Steinhauslin al cardinale Dalla Costa in cui si dice che non c'è risposta da Kesselring per dichiarare Firenze “città aperta” e evitarne la distruzione.

Il giorno dopo, sabato 29 luglio, Rahn lo rassicura sulle direttive di Kesselring: i ponti di Firenze non saranno distrutti. 

Anche un articolo di Leonard Marsland Gander, corrispondente del “Daily Telegraph”, del 28 luglio 1944, conferma questa idea: “I tedeschi intendono sgombrare Firenze, che hanno dichiarato città aperta. In città non esiste vero oscuramento. Finora nessun ponte sull'Arno è stato fatto saltare. Tutto dunque fa pensare che Firenze, come Roma, non sarà toccata quando la guerra vi passerà e il nemico si ritirerà sulla Linea Gotica”. Ma sappiamo che non sarà così. 

I ponti di Firenze vengono distrutti nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944 e tra questi l'amato Ponte Santa Trinita. Wolf apprende la notizia della distruzione quando si trova ancora a Fasano sul Garda, i suoi numerosi tentativi di salvare l'arte di Firenze sono falliti.

Nel novembre 1944 è a Milano, come console generale, una carica avuta da Rahn. Wolf è inviso alla Gestapo. 

In una lettera, datata 25 aprile 1945, il cardinale Dalla Costa, scrive di Wolf: “Fece molto perché Firenze fosse dichiarata città aperta ma non trovò risposta fra i suoi compatrioti”. 

Alla fine della guerra Wolf è internato con Rudolf Rahn prima a Montecatini e poi a Salsomaggiore ritrovandosi in mezzo a membri delle SS. 

Dalla Costa, Luigi Boniforti, Bernard Berenson, il marchese Serlupi, il sindaco, il prefetto di Firenze e Steinhauslin scrivono una lettera al capo della polizia militare alleata a Cassino per chiederne il rilascio. Steinhauslin raccoglie ventinove testimonianze in cui si elencano i meriti del console verso Firenze e i fiorentini, una su tutte quella del direttore d’orchestra Vittorio Gui, che spiega così il comportamento di Wolf “se durante l’occupazione tedesca ogni città italiana avesse avuto un tedesco come il console Wolf, ci sarebbero stati risparmiati tanti dolori e tormenti”. 

La richiesta cade invano e Wolf è trasferito nel marzo del 1946 nel carcere di Hohenasperg, vicino Stoccarda, da cui esce “completamente scagionato” nel luglio 1946 con in mano un biglietto ferroviario per Stoccarda, senza un soldo e con i vestiti del giorno dell'arresto. 

Firenze non lo dimentica, anche grazie a Steinhauslin che invita le istituzioni della città a concedergli la cittadinanza onoraria.

Il 19 novembre 1954 il Consiglio comunale vota all'unanimità la delibera per concedergli la cittadinanza onoraria e il 20 marzo 1955 in una solenne cerimonia in Palazzo Vecchio la riceve dalle mani del Sindaco Giorgio La Pira: “Facendo quello che ha fatto, il console Wolf ha reso un grande servizio al suo paese, alla vera Germania, che non è mai stata la Germania nazista. Per questa ragione, il popolo tedesco dovrebbe essergli grato, come lo è il popolo di Firenze”. Le parole di La Pira incorniciano la storia di Gerhard Wolf “console di Firenze”. Firenze è gemellata con Dresda, luogo di nascita di Gerhard Wolf.

  • “La battaglia di Firenze”, testo di Paolo Fallai, schede, ricerche e consulenza storica di Paolo Paoletti, Nuova Grafica fiorentina, 1985
  • Carlo Francovich, “La Resistenza a Firenze”, La Nuova Italia, 1975
  • Giovanni Frullini, “La liberazione di Firenze”, Pagnini, 2006
  • Hanna Kiel, “La battaglia della collina. Una cronaca dell'agosto 1944”, Medicea, 1986 
  • David Tutaev, “Il console di Firenze”, AEDA, 1972

11 settembre 1943: l'arrivo dei tedeschi a Firenze
Aldo Fagioli, partigiano dei GAP, Gruppi di Azione Patriottica, e della Brigata Garibaldi "Sinigaglia", poi volontario nei Gruppi di Combattimento dell'Esercito Italiano con la Divisione Cremona.

Improvvisamente, saranno state le 9.30 arrivarono, nel silenzio più assoluto, due camionette tedesche, del tipo anfibio. Si fermarono davanti al Comando di Corpo d'Armata e ne scesero circa dodici uomini, i quali, immediatamente, si posero in posizione, piazzando due fucili mitragliatori, uno sull'angolo di via degli Arazzieri ed uno sull'angolo con via Cavour. Il traffico non fu fermato ma in poco tempo si spense da solo. Passati dieci minuti arrivarono due macchine civili, dalle quali scesero alcuni ufficiali tedeschi che entrarono nel portone del Comando. 
Nella piazza diventavamo sempre di meno. In quel gruppetto dove io mi trovavo, e che per la verità era il più lontano dai tedeschi, essendo dalla parte opposta, si cominciò ad avanzare le più varie supposizioni. Ricordo che un anziano signore, sicuramente un combattente della Grande Guerra, avanzò l'ipotesi che un così piccolo gruppo di soldati non poteva che essere venuto a chiedere un permesso per attraversare la Futa o per utilizzare la ferrovia. Certo nessuno, assistendo alla scena, con dodici soldati sdraiati per terra, ed una cittadinanza indifferente che si limitava ad attraversare la strada per non passargli troppo vicino, avrebbe potuto pensare che erano lì per imporre la resa della città, una città che aveva offerto alla storia tanti esempi di fierezza e d'insubordinazione verso lo straniero, ma era proprio così.
Lettura tratta dal libro “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza (1943/1944)” pubblicato dall’Istituto Gramsci Toscano nel 1984


Il conferimento della cittadinanza onoraria a Gerhard Wolf, console tedesco a Firenze durante l’occupazione nazista 
Adunanza del dì 19 novembre 1954
Sono presenti i consiglieri sigg: Anfossi, Annunziati, Archi, Arpioni, Artom, Bargellini, Bartoli, Benfatti, Borgiolli, Calvelli, Cassi, Formichini, Fossombroni, Franchini, Francioni, Giachetti, La Pira, Magrini, Mazzoni, Meli, Morozzi, Musco, Naldi, Nocentini, Pacchi, Poggesi, Ramat, Redi, Riccioli, Ronci, Sacchi, Santoro, Somigli, Tincolini, Tognetti, Torricelli. Presiede l'adunanza il Sindaco Prof. Giorgio La Pira e vi assiste il Segretario Generale del Comune dott. Isidoro Pazzaglia
Il Consiglio
Tenute presenti le numerose documentate benemerenze acquisite dal dott. Gerhard Wolf durante la sua permanenza in Firenze, in qualità di Console tedesco, per le sue opere di bontà, compiute con rischio costante delle persone, nel periodo dell'occupazione germanica della città;
Ritenuto pertanto sia doveroso riconoscere che a tanto merito, debba corrispondere una attestazione d'omaggio da parte del Comune;
Delibera di conferire al dott. Gerhard Wolf la cittadinanza onoraria di Firenze.
Il Consiglio approva per alzata e seduta all'unanimità.
Lettura della Deliberazione del Consiglio Comunale di Firenze n. 1919/412/C del 19 novembre 1954

11 settembre 1943: l'arrivo dei tedeschi a Firenze
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Il conferimento della cittadinanza onoraria a Gerhard Wolf
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Gerhard Wolf. Il console e Firenze “città aperta”

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