Rindo Scorsipa “Mongolo”

I gappisti, l'assalto ai sindacati fascisti e la lotta a fianco di "Potente"

Rindo Scorsipa nasce a Firenze il 26 settembre 1907. La famiglia di Rindo è formata dal padre Eugenio, la madre Adele Piatti e dal fratello Giovanni. Rindo dopo aver frequentato le scuole elementari inizia a lavorare come pellettiere.

Negli anni '30 incontra Clelia Donati, che diventa la sua compagna e si trasferiscono in via de' Serragli 30, aderisce al Partito Comunista d'Italia e inizia l'attività clandestina di propaganda.

Nell'ottobre 1925 in via dell'Orto, in un magazzino dove si lavora la trippa di proprietà della famiglia di Otello Montelatici, si svolge il Congresso provinciale del PCd’I, è l'occasione di uno scontro generazionale tra vecchi e nuovi dirigenti. I giovani Fosco Frizzi, Romeo Baracchi e Aldo Lampredi sostengono una linea politica più a contatto con il popolo e riescono ad avere la meglio. Un partito con questo orientamento non può che trovare terreno fertile tra i mille mestieri dei rioni di San Frediano e Santo Spirito: pellettieri, doratori, intagliatori del legno, verniciatori, calzolai, meccanici, gente che lavora “a bottega”.

I giovani comunisti in Oltrarno sono il falegname Gino Bozzi, l’argentiere Armando Castellani, i pellettieri Igino Bercigli e Rindo Scorsipa, Lazzaro Pancini intagliatore del legno, il calzolaio Giotto Censimenti, il verniciatore Fernando Borghesi e gli orefici Guglielmo Torniai e Valentino Pancrazi. 

La lotta antifascista è dura, il pericolo di una delazione è sempre dietro l'angolo. I confidenti non mancano in Oltrarno e nemmeno gli squadristi che usano qualunque prepotenza contro la povera gente. Uno dei più famosi e temuti è Bruno Landi, chiamato il “Pollastra”, a causa della zoppia di una ferita di guerra in Libia, che vede nemici dappertutto e spara. Ma Rindo non è tipo da spaventarsi. Suo compagno di lotta è, tra gli altri, Fernando Borghesi. Con lui e con altri si ritrova al Caffè Pieri, all'angolo tra via della Chiesa e via de' Serragli, ritrovo di antifascisti, dove versa a Borghesi le quote per il Soccorso rosso, organizzazione che fornisce supporto ai prigionieri comunisti e alle loro famiglie.

Il 20 novembre 1940 Rindo è condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a 4 anni di carcere perché tiene, insieme ad altri, riunioni segrete per un continuo scambio di idee antifasciste, per raccogliere fondi “pro Soccorso rosso”, per diffondere la stampa comunista e per fare nuovi proseliti. Queste azioni, con Fernando Borghesi e Mario Chiti, si svolgono negli stabilimenti delle Officine meccaniche Cipriani & Baccani nel quartiere di Rifredi. Le azioni sono volte al “sovvertimento violento degli ordinamenti sociali ed economici dello Stato”, così recita la sentenza. Rindo sconta la pena nel carcere di Fossano dove studia e impara dai compagni più istruiti, è la cosiddetta "università del carcere". Esce il 23 agosto 1943 dopo 3 anni, 2 mesi e 12 giorni di carcere.

Intanto sui muri di San Frediano si possono trovare stampigliature con l'immagine di Mussolini e del Re, con il motto “Dio ce li ha dati, guai a chi ce li tocca!”. Dopo la caduta di Mussolini, il 26 luglio, i giovani antifascisti di San Frediano spaccano a colpi di martello i busti del dittatore, i fasci littori e puliscono i muri da queste scritte. Tra loro un quindicenne, Aldo Fagioli. La parola d'ordine è “Pace e libertà”.

Il messaggio dell'8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, anche se la guerra continua, è festeggiato nel rione dal balcone di un certo Papini, la radio, forse l'unica della zona, lo diffonde.

Rindo entra nei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), formazioni del PCI organizzate per le azioni di guerriglia urbana. All'inizio sono 4 gruppi, ognuno composto da 4 uomini compreso il responsabile. Dopo la morte di Alessandro Sinigaglia, Cesare Massai diventa il comandante e Alvo Fontani il commissario politico.

Scorsipa, detto "Mongolo" per il suo caratteristico taglio degli occhi, compie la prima azione notevole dei GAP fiorentini: l'uccisione del tenente colonnello Gino Gobbi, comandante del Distretto militare di Firenze e responsabile del reclutamento dei giovani di leva per costituire il nuovo esercito della Repubblica Sociale.

Il primo tentativo, a vuoto, è fatto da Cesare Massai, Faliero Pucci, Bruno Fanciullacci e Rindo Scorsipa. I quattro si appostano di fronte casa di Gobbi in via Pagnini, rimangono in attesa sotto una pioggia battente per due ore ma il tenente non rientra.

Il gruppo, tra cui "Mongolo", ci riprova il 1° dicembre e stavolta ci riesce. I quattro hanno due biciclette e quattro pistole ma le armi sono malandate, così decidono di usare le due messe meglio. Aspettano che Gobbi esca dal Distretto militare di piazza Santo Spirito. Due gappisti lo seguono sul tram, il filobus numero 2, gli altri due in bicicletta. Quando Gobbi scende per avviarsi verso casa i due, che lo avevano seguito sul tram, gli sparano. Una pistola si inceppa dopo il primo colpo ma l'altra invece funziona e Gobbi muore. I due gappisti scappano montando sulla canna delle biciclette dei compagni che li hanno coperti.

La stampa clandestina, il giorno dopo, pubblica l’articolo “1 dicembre 1943. Un atto di giustizia”: “Il Colonnello Gobbi, collaboratore dei tedeschi nell’opera di persecuzione contro i militari che non si presentano alle armi ed alacre organizzatore del costituendo esercito repubblicano, è freddato da mani giustiziere. Chi ha effettuato il colpo? È il primo gesto dei GAP […]. I fascisti accusano il colpo. Comprendono che il popolo non li teme più e vuol rendere loro dura la vita”. Il 2 dicembre 1943 i fascisti fucilano 5 ostaggi al poligono di tiro delle Cascine: sono comunisti, anarchici e un combattente di Spagna. Si chiamano: Armando Gualtieri, Gino Manetti, Luigi Francesco Pugi, Oreste Ristori, Orlando Storai.

Il 3 marzo 1944 alle ore 13 scatta lo sciopero nelle più importanti realtà industriali dell'Italia centro settentrionale, il più grande atto di disobbedienza civile in un paese occupato.

A Firenze, poche ore prima dell'inizio dello sciopero a cui partecipano circa 4.000 lavoratori, entrano in azione Rindo e Umberto Mazzoli detto Rigore. I due irrompono nella sede dell'Unione fascista dei lavoratori dell'industria sul lungarno Guicciardini 23 e distruggono gli schedari che custodiscono nomi e cognomi dei lavoratori della provincia di Firenze. Mongolo entra travestito da milite fascista, dà fuoco agli schedari, scappa, getta la pistola e anche la chiave di casa in Arno. Con la sua azione vanno in fumo circa 4.000 schede anagrafiche di operai selezionati per essere deportati in Germania.

Dopo l'azione Rindo è ricercato. I fascisti si appostano nella sua casa di via de' Serragli per portarlo a Villa Triste, luogo di torture e sede della polizia politica nazista e del Reparto dei Servizi Speciali. La compagna subisce l'occupazione per mesi e spera che Rindo non torni a casa perché ogni volta che il campanello suona i fascisti puntano mitra e pistole a chi sta per entrare. "Mongolo" però è già stato inviato dal Partito Comunista sul massiccio del Pratomagno dove diventa capo di stato maggiore della Brigata Garibaldi Lanciotto comandata da "Potente".

Il 31 luglio 1944, la 3° e la 4° compagnia della Lanciotto, circa 200 uomini, sono mobilitate da "Potente" con l’obiettivo di farle entrare a Firenze pronte all'insurrezione. Alla guida delle compagnie, oltre i loro comandanti, anche "Mongolo", e Giulio Bruschi detto "Berto", commissario politico della brigata. La partenza è fissata dopo la mezzanotte.

Per giungere a Firenze le compagnie passano da località L’incontro, poi Rimaggio, Candeli fino ad arrivare al quartiere di Rovezzano. Alle prime luci dell'alba del 1 agosto, arrivate a Firenze, si nascondono negli scantinati della scuola professionale Giovanni da Verrazzano tra via Capo di Mondo e via Mannelli.

Il 4 agosto, per non essere scoperti, dato che al partigiano “Drago” è partito inavvertitamente un colpo di pistola, si spostano in una vicina tipografia in via Mannelli. Aspettando l'insurrezione, stampano il giornale murale “La voce della Lanciotto” e compongono l'inno ufficiale della brigata.

La mattina dell'11 agosto, giorno della liberazione della città, le due compagnie si dirigono verso gli obiettivi stabiliti, tra cui la sede del Gruppo rionale fascista Dante Rossi, in Via dell'Agnolo 80. Lo occupano e da un balcone Mongolo parla alla gente accorsa a salutare i partigiani. Poi è la volta di Giuseppe Rossi, futuro costituente, che, acclamatissimo, dichiara che la guerra non finirà finché sarà rimasto un solo fascista.

Le due compagnie proseguono poi verso Palazzo Vecchio ancora ignare della scomparsa del loro comandante "Potente", mortalmente ferito per lo scoppio di una granata nemica la sera dell’8 agosto. Firenze celebra la sua liberazione l'11 agosto ma "Mongolo" prosegue la lotta di Liberazione al Nord Italia nei Gruppi di combattimento.

Rindo è tra i fondatori della sezione ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) Oltrarno, la cui prima sede è la Casa del popolo Matteotti in Borgo San Frediano 14, oggi sede del comando della Guardia di Finanza.

Il primo congresso dell'ANPI Oltrarno si tiene nel settembre 1947 e il suo direttivo elegge proprio "Mongolo" come presidente. In un documento della Sezione Oltrarno dell'aprile del 1953, Scorsipa incarica Angiolo Alidori e Bruno Maranghi di raccogliere fondi tra i cittadini per sostenere il processo che si stava svolgendo a Lucca contro la Banda Carità, comandato da Mario Carità.

Continua a vivere in via de' Serragli 30 ed è impiegato nel sindacato. Con sentenza del 12 aprile 1977 la seconda sezione penale della Suprema corte di cassazione dichiara la giuridica inesistenza della sentenza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato del 20 novembre 1940. 

Muore a Firenze il 14 ottobre 1955 e riposa al cimitero di Trespiano.

Due i riconoscimenti postumi: il 10 gennaio 1980 il Presidente della Repubblica concede la Medaglia d'argento al valor militare mentre il 30 novembre 2010, il Comune di Firenze conferisce il Giglio della Liberazione.

  • Scheda di Rindo Scorsipa in Alberto Alidori, “Liberare Firenze per liberare l'Italia. Chi erano i partigiani. Memorie 1943-1945”, a cura di Luca Giannelli, Scramasax, 2022
  • Adriano Dal Pont, “Aula IV. Tutti i processi del Tribunale Speciale fascista”, La Pietra, 1976
  • Aldo Fagioli, “Partigiano a 15 anni”, Alfa, 1984 
  • Francesco Fusi, “Guerra e Resistenza nel fiorentino. La 22° Brigata Garibaldi “Lanciotto” Ballerini” Viella, 2021
  • Stefano Gallerini, “Antifascismo e Resistenza in Oltrarno. Storia di un quartiere di Firenze”, Zella 2019
  • Santo Peli, “Storie di GAP. Terrorismo urbano e Resistenza”, Einaudi, 2014

“Mongolo” e “Mara”, partigiani della Brigata Garibaldi Lanciotto e gli sbandati repubblichini
“Mongolo” è il nome di battaglia di Rindo Scòrsipa Capo di Stato Maggiore della Brigata Garibaldi Lanciotto, “Mara” il nome di battaglia di Vasco Palazzeschi di cui leggiamo le memorie

Ed è con questo spirito di conciliazione che in cambio dell'aiuto concreto che davamo loro per attraversare la nostra zona gli chiedevamo di fare a cambio di abiti: quelli nuovi militari loro, per i vecchi e laceri nostri. D'altra parte questo cambio a loro serviva anche per passare “inosservati” in caso di incontri con fascisti o tedeschi. La proposta non trovò eccessive resistenze e il cambio d'abiti e di scarpe avveniva di buon grado. E così noi potemmo accedere per un po' di tempo ad un “magazzino vestiario” davvero insperato. 
Fra i tanti che passarono, ne ricordo uno in particolare: era un contadino veneto, mi pare, ma non sono sicuro. Voleva andare a casa ma non intendeva lasciarci le scarpe. Ne aveva un paio nuove di zecca. 
Di fronte alle nostre insistenze, mie e del buon Mongolo, si mise a piangere come un bambino, e fra i singhiozzi diceva di non aver mai avuto in vita sua un paio di scarpe nuove. Giurava su tutti i suoi “poveri morti” che quella era la prima volta che gli capitava e non vedeva l'ora di essere a casa per poterle mostrare ai suoi familiari. 
Noi non cedemmo alla prima, ma lo pregammo un po', lo minacciammo, ma tenne duro e finì per propormi di farlo restare con noi. Disse proprio così: “Se devo lasciare le scarpe, preferisco restare con voi; almeno  se non muoio, torno a casa con le scarpe”
Io e il Mongolo ci guardammo un po' commossi e ci inchiniamo… presi dallo stesso impulso, gli dicemmo: “Tieniti le scarpe, vai a casa e buona fortuna.” 
Lettura tratta dal libro “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza (1943/1944)” pubblicato dall’Istituto Gramsci Toscano nel 1984

La morte di un bambino
Ivo Poli, di 8 anni, è una delle vittime dell’eccidio di piazza Tasso, nel rione di San Frediano, avvenuto il 17 luglio 1944. L'eccidio è opera di militi repubblichini, che sparano sui civili, guidati da Giuseppe Bernasconi, braccio destro di Mario Carità comandante del Reparto dei Servizi Speciali.
Con Ivo vengono uccisi Aldo Arditi, Igino Bercigli, Corrado Frittelli e Umberto Peri. 

In un attimo la piazza si svuota e la gente entra nei portoni che si chiudono come ostriche. Stenlio e Ivo si rialzano e si lanciano verso casa. Il primo abita al numero 15 ed entra subito. L'altro, che abita, al numero 16 fa ancora qualche metro prima di infilarsi nell'uscio aperto, dietro ai due fratelli che lo precedono. La Fiorenza, sua mamma, ha sentito gli spari e si è affacciata alla finestra. Ora si precipita giù per le scale e raggiunge l'androne che porta al cortile interno. Controlla che i figli ci siano tutti: uno, due, tre. Menomale, sono salvi. Ma in fondo al lungo corridoio Ivo si accascia: una raffica di mitra l'ha colpito alla schiena. “Mamma, mamma!”, grida morendole tra le braccia.
Alcuni uomini lo prendono e lo adagiano su un tavolino lì nell'andito. Al collo, come sua abitudine, ha le scarpe legate per i lacci. Quando esce da scuola, si diverte ad infilarci le mani, mettersi in ginocchio e tirarsi giù il grembiule a coprirsi le braccia per far finta di essere un nanetto che balla.
“Perchèeee, perchéee! Ha solo otto anni perchéeee! Maledetti!” urla la donna. Lo strazio della Fiorenza mi paralizza le gambe. Mi fermo sulla cantonata tra via della Chiesa e via del Leone, seguendo tutta la scena, che sembra andare al rallentatore.
I fascisti sono ancora in piazza e continuano a sparare. “Scappa Morino, scappa! Vuoi farti ammazzare?” La voce dello Stapanaro mi risveglia da questo stato comatoso e riprendo a correre
Lettura tratta dal libro di Lorenzo Pagni, “Chi di gallina nasce. Piccola cronaca familiare in un quartiere, una città, un paese che cambia”, pubblicato da edizioni Efesto nel 2020

“Mongolo” e “Mara”, partigiani della Brigata Garibaldi Lanciotto e gli sbandati repubblichini
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La morte di un bambino
File audio
Il partigiano Rindo Scorsipa “Mongolo” e i Gruppi di Azione Patriottica a Firenze
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