Anna Maria Ichino

La scelta antifascista, la Resistenza non armata, l'impegno delle donne, il valore e il coraggio dell'accoglienza

Anna Maria nasce, ultimogenita, da una famiglia benestante che vive nella Villa Stabbia, a Vangile, vicino a Montecatini Terme. La villa ha nove poderi coltivati a viti, ulivi e grano. Il padre Antonio e la madre, Cordelia Barli Carboncini, hanno altri due figli, Adriana, la maggiore e Piero, il secondogenito. Anna Maria ha anche un fratellastro, Mario, frutto di una relazione extraconiugale di Cordelia.

Anna Maria nasce a Firenze il 1 settembre 1912 in via dei Rondinelli 6, nella casa dello zio paterno. Il padre di Anna Maria muore quando lei ha solo 7 anni. Una perdita che la segna. La famiglia non investe sulla sua istruzione ma è orientata a organizzare per lei un buon matrimonio.

Nel 1935, forse a causa di speculazioni, gioco e eventi diversi la famiglia va sul lastrico ed è costretta a vendere le proprietà. Cordelia parte per il Mozambico dopo aver acquistato delle concessioni minerarie che poi scopre inesistenti. Si dedica quindi a esportare in Italia, a Torre del Greco, le conchiglie adatte a produrre cammei. È nominata vice console italiano in Mozambico, da cui torna nel 1947 senza un soldo.

Anna Maria non sopporta le violenze. Appena sedicenne, vede bastonare a morte un antifascista, riconosce il responsabile e non esita ad andare in tribunale per testimoniare al processo. La sua testimonianza non è però presa in considerazione perché è ritenuta troppo giovane. Nel 1935, dopo la disfatta economica della famiglia, Anna Maria si trasferisce a Firenze dallo zio paterno Silvio, nella casa di via dei Rondinelli dov'era nata. La sorella maggiore Adriana invece si sposa e come regalo di nozze riceve una villa a Borgo a Buggiano. Il fratello Piero, che fabbrica inchiostri, ogni tanto incontra la sorella a Firenze.

Nel 1938 lo zio Silvio muore e lascia a Anna Maria e a Piero 50.000 lire da dividere in due. Sei mesi dopo, il 7 dicembre 1938 prendono in affitto un appartamento di 14 stanze in piazza Pitti 14 che arredano con i mobili della casa dello zio. La casa diventa presto il luogo di ritrovo di un gruppo di giovani antifascisti e intellettuali: Orietta Alliata, figlia del duca di Salaparuta e sorella di Topazia, moglie di Fosco Maraini; Giovanni Guaita, fidanzato di Orietta; Jeannette Nannoli Modigliani, storica dell'arte e figlia del pittore Amedeo, perseguitata dal fascismo perché ebrea e poi membro attivo del Maquis, la Resistenza francese.

La vita nella casa è molto vivace, si va a tavola all'una e alle cinque si discute ancora, si ascoltano i discorsi del Duce alla radio, su cui si fanno anche delle grasse risate se commentati in modo spiritoso da un caro amico di Anna Maria, il Melosi. Una notte Anna Maria, Orietta Alliata, Giovanni Guaita, Giuliano Briganti e Melosi vanno a scrivere slogan contro il regime in via Cesare Battisti. Scrivono “Pane, pace, libertà”. Rischiano grosso, ma lo fanno. Scrivono sui muri anche con gli stampini “Morte al Duce, morte al fascismo”.

“Annamà”, così soprannominata da Maria Luigia Guaita, bionda, scarmigliata e con penetranti occhi azzurri, fabbrica inchiostro: nero fisso, blu stilografico, verde, rosso e violetto. Una parte della cucina de “la pensione” è piena di boccette, pentolini e polverine, che servono proprio a quello. In cucina è possibile vedere da una parte Italia, la cognata di Anna Maria, che sforna tagliatelle al ragù, dall'altra Anna Maria con tutto l'occorrente per la produzione d'inchiostro.

Sopra la cucina c'è un'altra stanzetta, che si affaccia su un terrazzino, dove ci sono le boccette vuote, le etichette e le bustine che Anna Maria vende ai ragazzini perché si facciano, da soli e a poco prezzo, l'inchiostro.

Dopo l'8 settembre 1943 le forze antifasciste cercano di strutturarsi e la casa di Anna Maria diventa un punto di riferimento per l'organizzazione del Partito d'Azione. Con Orietta Alliata copia più di una volta il Manifesto del Movimento Liberalsocialista di Guido Calogero e Aldo Capitini, offre e trova rifugio ai soldati alleati in fuga dai campi di prigionia, ospita ebrei.

La giornalista e scrittrice Wanda Lattes e la sua famiglia sono salvati da Anna Maria, trovando rifugio proprio nell’appartamento di piazza Pitti.

Dalla sua casa passano armi, volantini e documenti di vario tipo fra cui anche la carta d'identità falsa di Carlo Levi, che arriva nella casa di Anna Maria nel dicembre del 1943. Levi è stato confinato per attività antifascista ad Aliano in Basilicata, un paese dimenticato ai confini del mondo, tanto che i contadini ripetono spesso la frase “Cristo si è fermato a Eboli”.

Il Comitato di Liberazione affida Levi a Anna Maria, che ne è subito affascinata e lusingata. Levi è un medico, un pittore, un amico dei fratelli Rosselli e degli intellettuali piemontesi Massimo Mila e Franco Antonicelli, è un uomo pieno di fascino e ha bisogno di una nuova carta d'identità. Anna Maria avverte Maria Luigia Guaita di fare la carta d'identità e che qualcuno gli farà avere la fotografia. La casa di piazza Pitti diventa dunque il rifugio di Levi, dove scrive, spinto da Anna Maria insieme all'amico scrittore Manlio Cancogni, “Cristo si è fermato a Eboli”, uno dei più importanti testi della letteratura italiana che racconta l'esperienza del confino. Il manoscritto è scritto a macchina da Anna Maria e pubblicato nel 1945. Anna Maria e Carlo nel frattempo vivono una storia d'amore.

L’appartamento di Anna Maria è un luogo pieno di coraggio, in cui la creatività corre fianco a fianco alla paura. Vi trovano rifugio, tra gli altri, Eugenio Montale, Carlo Ludovico Ragghianti, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Cesare Fasola e Umberto Saba con la moglie e la figlia Linuccia, di cui Carlo Levi s'innamora, ponendo termine alla storia con Anna Maria.

Un grande dolore per la donna ma niente al confronto con quello della morte del figlio Paolo, chiamato da Levi “Paolicchio”. “Paolino” muore il 17 agosto 1944 alle 16.30, un giovedì, a soli 10 mesi nel pieno della battaglia per la liberazione della città. Le medicine per salvarlo non ci sono. Mentre Firenze si libera, Anna Maria vive il dolore più grande. Gli abitanti dell’Oltrarno sono sfollati in Palazzo Pitti, costretti dal bando di evacuazione dei lungarni emanato il 29 luglio dal comando nazista. Le condizioni igieniche sono pessime e forse l’acqua è inquinata, “Paolino” si ammala di dissenteria. Levi, che è un medico, tenta di salvarlo chiedendo aiuto a Ragghianti, che poi scrive “malgrado ogni sforzo presso gli alleati, che la detenevano, non riuscimmo a procurare la medicina per salvare il piccolo Paolo”.

Sono sei giorni di agonia, Anna Maria è sconvolta, piange sul letto, assistita da Cesare Fasola e dalla moglie Giusta Nicco. Non si può dare nemmeno una degna sepoltura al bambino perché con la battaglia in corso, non si può attraversare l'Arno, privato dei suoi ponti distrutti dalle mine naziste con la sola eccezione di Ponte Vecchio, per andare al cimitero. Carlo Levi adagia il bambino, ben vestito, in una piccola cassetta simile ad una scatola e si incammina, distrutto, insieme a Manlio Cancogni, verso il giardino del Bobolino, passando da via Romana. I due attraversano Porta Romana e imboccano viale Machiavelli, fanno un paio di tornanti e si ritrovano al Bobolino. Carlo Levi scava una piccola fossa in uno spiazzo tra i platani e lì vi adagia il bambino. Forse è la prima tomba nella Firenze del '44. Nel trigesimo della morte, dalle colonne de “La Nazione del Popolo” del 15 -16 settembre 1944, Anna Maria scrive per Paolino “La mamma lo ricorda a quanti gli vollero bene”.

Dopo la Liberazione Anna Maria lavora per ricostruire il Partito d'Azione in provincia. Lavora nella redazione de “La Nazione del Popolo”, giornale del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. Scrive anche sul “Non Mollare”, giornale del partito. La sua carta d'identità del 1944 la indica come giornalista. Lavora anche a Prato per l'UNRRA, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'assistenza alle popolazioni colpite dalla guerra.

Nel 1947 ha un secondo figlio, Alessandro. La sua casa, divenuta “La pensione”, continua ad essere quello che era stata durante la guerra, un ambiente vivace e aperto, frequentato da giovani, artisti e studiosi, che rispecchia la personalità non convenzionale di Anna Maria, che la gestisce fino alla morte, avvenuta il 3 giugno 1970.

La casa di Anna Maria è stato un luogo importante della Resistenza fiorentina. Ha offerto rifugio a tutti, antifascisti, ebrei, soldati alleati fuggiti dai campi di prigionia, tutto l'antifascismo e i più rinomati intellettuali italiani sono passati di lì, eppure, se cercate il nome di Anna Maria nei libri di storia, non lo troverete. Nel 2018 il Comune di Firenze ha intitolato a suo nome la piazzetta a lato di Palazzo Pitti, in angolo con piazza San Felice. All'amico Luciano Ori, pittore fiorentino, scrive nel 1951: “Lo sai Luciano, in che consiste la vera libertà? Nell'essere noi stessi sempre, nell'adattarsi alle circostanze senza ledere la propria personalità”.

  • Scheda di Anna Maria Ichino in Alberto Alidori, “Liberare Firenze per liberare l'Italia. Chi erano i partigiani. Memorie 1943-1945”, a cura di Luca Giannelli, Scramasax, 2022
  • Nicola Coccia, “L'arse argille consolerai. Carlo Levi dal confino alla liberazione di Firenze attraverso testimonianze, foto e documenti inediti”, ETS, 2015
  • Maria Luigia Guaita, “La carta d'identità azzurra”, in id. “Storie di un anno grande”, La Nuova Italia, 1975, pp. 18-26
  • Anna Maria Ichino, “Gli allegri gendarmi”, in “Non Mollare”, 28 settembre 1946
  • Elisa Benaim Sarfatti, “Firenze 1943-1944. Giochi di vita, d'amore e di guerra in piazza Pitti 14”, in “Belfagor”, vol. 55, n. 6, 30 novembre 2000, pp 689-714

Una vera antifascista e la morte di una spia
Anna Maria Ichino, antifascista e membro attivo della Resistenza fiorentina

Anna Maria Ichino, la donna che voleva pagare fascisti e tedeschi con lo stesso salario, aveva dimostrato con quel gesto un grande amore per il prossimo, una grande generosità e un grande senso della pietà che superava ogni schieramento e ogni divisa. 
La persona colpita, in Piazza Pitti, era un “macellaio delatore dei partigiani”. Ma ai suoi occhi questo non importava nulla. Lei non vedeva una spia, ma solo un uomo da soccorrere. Avrebbe voluto scendere in strada, aiutarlo, voleva alleviare la sua sofferenza, consentirgli di respirare meglio, almeno quegli ultimi minuti di vita. Non potendo sollevare il ferito con le proprie braccia aveva afferrato il cuscino e lo aveva gettato istintivamente accanto a lui perchè se lo mettesse dietro la testa.
“Anna Maria – ha detto Manlio Cancogni – era una vera antifascista e una sincera seguace di Aldo Capitini, il Gandhi italiano, e per questo motivo sono convinto che non avrebbe torto un capello a nessuno.”
Lettura tratta dal libro di Nicola Coccia, “L'arse argille consolerai. Carlo Levi dal confino alla Liberazione di Firenze attraverso testimonianze, foto e documenti inediti”, pubblicato da edizioni ETS nel 2015


Le vittime civili della guerra
La morte del piccolo Paolo Ichino e la disperazione della madre Anna Maria Ichino,  antifascista e membro attivo della Resistenza fiorentina

Paolo Ichino, non ha ancora dieci mesi quando muore il 17 agosto 1944, dopo sei giorni d'agonia per aver, forse, bevuto dell'acqua inquinata mentre è sfollato con la madre e Carlo Levi in Palazzo Pitti
Il piccino tornò a casa. E mentre tutti esultavano per la Liberazione di Firenze, Anna Maria Ichino si struggeva nel vedere il figlioletto divorato dalla febbre alta. Passarono altri sei giorni. Il 17 agosto nelle stesse ore in cui il vincitore, o almeno uno dei vincitori della guerra, Winston Churchill, entrava trionfante in Siena, liberata da un mese, un bambino, Paolino, moriva in Piazza Pitti 14. Erano le 16.30.
Quel pomeriggio, Anna Maria Ichino, la mamma, rimase ferita da un dolore che non si rimarginò mai. 
Un dolore immenso come quello che si legge sul volto della Madonna nella Deposizione del Pontormo, custodita nella chiesa di Santa Felicita, la chiesa di Paolino, a due passi dal Ponte Vecchio. Di quella sua breve esistenza non è rimasta traccia neppure nel registro parrocchiale, tenuto da quindici anni da don Luigi Gargani. La guerra fece sospendere qualsiasi annotazione fra giugno e il 23 agosto 1944.  Ma questo non significa che Paolino non abbia potuto ricevere l'ultima benedizione. 
Lettura tratta dal libro di Nicola Coccia, “L'arse argille consolerai. Carlo Levi dal confino alla Liberazione di Firenze attraverso testimonianze, foto e documenti inediti”, pubblicato da edizioni ETS nel 2015

Una vera antifascista e la morte di una spia
File audio
Le vittime civili della guerra
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Anna Maria Ichino. Un'antifascista e la casa in Piazza Pitti 14

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