Il coraggio di resistere alle torture
Ferdinando Pretini nasce a Massa Lombarda in provincia di Ravenna il 10 maggio 1894. Il padre si chiama Carlo, la madre Teresa Balzani. La sua è una famiglia di umili operai. A soli 14 anni, nel 1908, emigra a Bologna per trovare lavoro. La madre è morta e il padre è disoccupato. A Bologna fa il ragazzo di bottega da un barbiere, dopo qualche anno si sposta a Milano per frequentare una scuola professionale di parrucchieri dove poi è assunto. Nel 1914 vince un concorso nazionale per acconciature artistiche e diventa maestro dell'acconciatura. Chiamato alle armi si arruola per tutta la durata della Prima guerra mondiale come combattente del 7° Reggimento fanteria e poi del 5° Reggimento alpini. Congedato nel settembre 1919, lavora a Napoli, Bologna, Trieste e Genova fino ad arrivare a Firenze, dove, nel 1924, apre il suo negozio di parrucchiere per signora in via de' Tornabuoni 33/r.
Tra i suoi clienti c'è tutta l'aristocrazia fiorentina, comprese le principesse di Casa Savoia, quando sono di passaggio in città o nella tenuta di San Rossore. Ferdinando è repubblicano e antifascista. Nel 1924 aderisce al movimento Italia Libera e nel suo negozio distribuisce il foglio clandestino “Non mollare”.
Il 12 maggio 1927 è arrestato con l'accusa di aver partecipato ad un complotto per attentare alla vita di Mussolini. Sconta alcuni giorni di reclusione e da quel giorno è sorvegliato dal Servizio politico fascista. Interrompe perciò i contatti con gli antifascisti di Italia Libera.
È sposato, sua moglie si chiama Maria Mainardi.
Dopo l'8 settembre 1943 riprende i rapporti con gli antifascisti fiorentini, ricomincia a distribuire materiale di propaganda e partecipa all'organizzazione del Partito d'Azione. È uno dei membri più attivi del partito nella Commissione per l'assistenza ai prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia. Il suo negozio di via Tornabuoni è una delle cellule più attive. Fra i suoi collaboratori figura Nello Nocentini, che si rivela una spia al servizio dei fascisti e dei tedeschi e che lo fa arrestare dalla Banda Carità.
Nocentini si intrufola nei contatti di Ferdinando, fingendosi l'autista di un ufficiale tedesco e s'impegna ad accompagnare i prigionieri alleati con un'autoambulanza, di cui dispone, verso la linea del fronte per raggiungere i loro reparti.
In realtà Nocentini consegna i prigionieri ai fascisti in cambio di denaro e ragguaglia il Maggiore Carità dei nomi, degli indirizzi e dei connotati degli azionisti con cui viene in contatto nel negozio di Ferdinando. L'inganno è scoperto grazie ad un ufficiale inglese, che riesce ad avvertire gli amici del Partito d'Azione con un biglietto. Fa da tramite una crocerossina. Ma ormai è tardi.
Il 24 novembre 1943 Ferdinando è arrestato insieme all'architetto Raul Borini e al frate benedettino Ildefonso Epaminonda Troya, quello che, a Villa Triste, suonerà al pianoforte l'Incompiuta di Schubert o canzonette napoletane per coprire le urla dei torturati.
All'inizio pare che il monaco collabori con Pretini, nascondendo prigionieri alleati e una missione alleata nel convento della chiesa di Santa Trinita, poi diventa la spia di Carità.
Pretini è tradotto alla a Villa Malatesta, la "Villa Triste" di via Ugo Foscolo.
L'atmosfera è da incubo, si attraversa un grande salone e si passa alla stanza degli interrogatori. Gli arrestati vivono in continuo contatto con i loro aguzzini. Dopo la tortura, se sopravvivono, sono costretti a bere o a giocare a poker.
Ferdinando passa dieci giorni di torture indicibili: lo straziano di botte, lo obbligano con un imbuto a bere acqua caldissima, gli scaricano addosso colpi di mitra, facendogli credere di fucilarlo, gli tagliano il labbro inferiore.
Le botte e il riposo si alternano di dieci minuti in dieci minuti. Tra i picchiatori, ovviamente, c'è Carità.
I torturatori fanno mettere la moglie e la nipote in una stanza sopra quella dove è Pretini in modo che sentano le sue urla. Gli fanno credere che la moglie e la nipote sono state fucilate. Ma Pretini resiste, non parla.
“Ero enormemente gonfio dalla testa ai piedi: la testa, le gambe infiammate, le caviglie in uno stato tale che i pantaloni ci scorrevano con molta difficoltà, la mano destra col mignolo fracassato a penzoloni. Provai a rialzarmi ma non ce la facevo. Qualcuno mi prestò aiuto, ma solo toccarmi in qualunque parte del corpo mi procurava un dolore insopportabile. Perciò mi presero per i capelli e mi rialzarono come corpo morto…”
Queste le parole di Pretini nel suo memoriale per i giudici del Tribunale di Lucca per il processo ai componenti della Banda Carità, conservato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Dopo 10 giorni è portato in infermeria nel carcere delle Murate. È condannato a morte dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato ma evita la condanna grazie all'intervento dei comitati clandestini che, con una diagnosi medica, nel giugno 1944, riescono a farlo trasferire all'Ospedale di Careggi.
È liberato per iniziativa del giudice Manlio Mazzanti che salva lui e altre 19 persone dal plotone di esecuzione e poi si dà alla macchia. La Banda Carità non gli dà tregua ma riesce a sfuggire grazie all'ospitalità del compagno di lotta Leo Stanzani, che lo nasconde fino alla liberazione di Firenze.
Nel settembre 1944 ritorna alla sua attività di parrucchiere.
È segnato dalle torture. La cartella personale del Comando Toscano del Corpo Volontari della Libertà recita: “ferito il giorno 24 novembre 1943 in ferite e sevizie da cui ha riportato disabilità permanente”.
Nel novembre 1944 è nominato Commissario straordinario della Sezione di Firenze dell’Associazione nazionale Alpini.
Nel 1945 è direttore tecnico dei corsi professionali di acconciatura femminile presso l’Ente nazionale per l’addestramento dei lavoratori del commercio. Nel 1951 rilascia un’importante deposizione al processo alla Banda Carità.
Decorato con la Croce di guerra, muore a Firenze il 21 dicembre 1966.
- Scheda di Ferdinando Pretini in Alberto Alidori, “Liberare Firenze per liberare l'Italia. Chi erano i partigiani. Memorie 1943-1945”, a cura di Luca Giannelli, Scramasax, 2022
- Orazio Barbieri, “Ponti sull'Arno”, Editori Riuniti, 1975
- Carlo Francovich, “La Resistenza a Firenze”, La Nuova Italia, 1975
- Mimmo Franzinelli, “Delatori. Spie e confidenti anonimi: l'arma segreta del regime fascista”, Mondadori, 2001
- Andrea Mugnai, “Ora che l'innocenza reclama almeno un'eco. Testimonianze da Villa Triste 1943-1944”, Il Vantaggio, 1990
- Francesco Saverio Tucci, “Il parrucchiere, il monaco, la spia. Una storia di coraggio e crudeltà, di tradimenti e di fraintendimenti”, Youcanprint, 2022
- Giovanni Verni, “La Resistenza armata in Toscana” in “Storia della Resistenza in Toscana”, vol. I, a cura di Marco Palla, Carocci, 2006, p. 213
Le torture subite a Villa Malatesta per mano di Carità e della sua banda
Memorie di Ferdinando Pretini, partigiano della 1ª Divisione Giustizia e Libertà. Arrestato nel novembre del 1944 fu una delle vittime più ferocemente torturate dalla Banda Carità.
La Banda Carità è il nome con cui è conosciuto il Reparto dei Servizi Speciali, che opera a Firenze durante il periodo della Repubblica Sociale e comandato da Mario Carità.
Il trattamento riservato a Pretini fu di una violenza e di una crudeltà indicibili e il militante azionista portò per il resto della vita i segni di quel sadico accanimento sulla sua persona. Sul parrucchiere, Carità testò tutto il suo repertorio di tecniche inquisitorie, che comprendeva non solo violenze fisiche di ogni genere ma anche sevizie morali, intimidazioni, minacce, ricatti, shock emotivi.
Ma lasciamo la parola a Ferdinando:
Anzichè mettermi con gli altri imputati mi portarono davanti ad un usciolino dalla porta del cortile – era molto buio e imperversava il maltempo – e mi dissero: “Entra qua dentro!”
Non ebbi il tempo di affacciarmi che mi sentii percuotere violentemente dal calcio del fucile nella schiena, con accompagnamento di calci e pugni, che mi fecero ruzzolare in una cantina semibuia.
Mi trovai in fondo alla scala, quando simultaneamente due militi di Carità mi si scagliarono addosso e cominciarono, proseguirono ininterrottamente l'opera dei primi, percuotendomi violentemente con i calci di fucili e delle rivoltelle, alternando le percosse con grida di minacce, dicendomi: “Parla, traditore; devi parlare a tutti i costi, dal momento che ti hanno portato qui, vuol dire che sei un traditore!”
In un momento di tregua domandai loro: “Ma perchè mi picchiate in questo modo, se il vostro comandante mi deve ancora interrogare?”
Risposero con una scarica ancora più violenta di pugni e di calci, dicendomi: “Questo per farti capire e ricordare di non dimenticare niente di ciò che devi e sai di dover dire.”
Letture tratte dal libro di Francesco Saverio Tucci, “Il parrucchiere, il monaco, la spia”, Youcanprint, 2022
Al carcere delle Murate le torture continuano
Memorie di Ferdinando Pretini, partigiano della 1ª Divisione Giustizia e Libertà. Arrestato nel novembre del 1944 fu una delle vittime più ferocemente torturate dalla Banda Carità, il Reparto dei Servizi Speciali comandato da Mario Carità, che operò a Firenze durante il periodo della Repubblica Sociale.
I tentativi di Carità di ottenere informazioni dal nostro parrucchiere continuarono anche durante la detenzione. Un giorno un incaricato del maggiore gli chiese di descrivere i connotati della persona alla quale, come aveva riferito la spia, Pretini aveva consegnato molte paia di scarpe destinate ai partigiani di Monte Morello.
La sospettata era Eleonora Benveduti Turziani, la dirigente azionista che si occupava della protezione dei clandestini e fuggiaschi e dell'approvvigionamento per le formazioni partigiane dislocate sull'Appennino. Carità l'aveva fermata ma nei suoi confronti non possedeva alcun elemento di prova e nella sua abitazione non era stato trovato nessun materiale sospetto. Per depistare il maggiore, Ferdinando attribuì alla donna, a cui aveva consegnato le scarpe, connotati esattamente opposti a quelli della Turziani.
In quei giorni di prigionia, utilizzando dei bigliettini ricavati dai moduli a stampa del carcere, Pretini annotava i fatti che gli sembravano rilevanti e intratteneva una minima corrispondenza con la moglie Maria Mainardi.
In una nota non datata scrive di aver visto dallo spioncino uno dei luogotenenti di Carità, un certo capitano Agostini, che, passando di fronte alla sua cella, aveva detto ad alta voce: “per questo famoso Pretini si può ordinare la cassa da morto, è questione di giorni se non di ore, con Carità non si scherza, quello te li liquida tutti al muro i partigiani, ma se canta, potrà salvarsi.”
Lettura tratta dal libro di Francesco Saverio Tucci, “Il parrucchiere, il monaco, la spia”, Youcanprint, 2022