Mario Carità

Chi erano i nemici, chi stava dall'altra parte, la tortura sistema di guerra e terrore

Mario Carità nasce a Milano il 3 maggio 1904. Il padre non lo riconosce, all'anagrafe figura come Mario Carità del fu Gesù. Già quindicenne opera a Lodi e a Milano, con azioni violente e soprusi, nelle squadracce fasciste del giornalista Luigi Freddi, il creatore della futura Cinecittà.
La prima volta che spara è nel 1919 a Milano dove prende di mira una folla ad un comizio elettorale, dopo la prigione è coinvolto in un omicidio.
Lavora come rappresentante di apparecchi radio Philips. 
Nel 1936 si trasferisce a Firenze con la moglie. Ha due figlie. 
Abita con la famiglia in una bella casa in via Giusti, requisita ad una famiglia ebrea, davanti all'ospedale. 
Lavora come elettricista in un negozio di radio ma viene licenziato perché trovato a rubare la merce. Apre dunque un suo negozio di radio riparazioni in via Panzani, a pochi passi dal Duomo. Nel retrobottega ha una bisca clandestina e una stanza per gli appuntamenti ma non teme denunce perché è uno squadrista e una spia della polizia fascista. 
La sua attività di delatore è costante, segnala le persone che gli portano a riparare la radio e che confessano, ignari, di ascoltare la vietata Radio Londra. Carità è nel libro paga dell'Opera Volontaria per la Repressione dell'Antifascismo (OVRA), la polizia politica segreta del regime.

Partecipa alla campagna di Grecia come centurione in un reparto di camicie nere.
Tre giorni dopo l'8 settembre 1943 sua moglie muore.
Quando viene fondata la Repubblica Sociale Italiana, Carità ottiene il comando di un reparto delle SS italiane, le Italienische Waffenverbande der SS, cui si era subito posto al servizio dopo l’ingresso dei nazisti in città.
 

Dopo il 17 settembre 1943 a Firenze nella 92° Legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN) è istituito l'Ufficio politico investigativo con a capo Carità: l'ufficio è Reparto Servizi Speciali, conosciuto come Banda Carità. Passa poi di grado, ora è Seniore. 


La Banda opera le sue sevizie e torture nelle “Ville Tristi”. La prima è in via Benedetto Varchi 22, requisita ad una famiglia ebrea. La seconda, dal novembre 1943, è la Villa Malatesta in Via Ugo Foscolo poi alcune stanze di Villa Loria in via Bolognese 88. L'ultima, e più nota, è in via Bolognese 67, oggi Largo Bruno Fanciullacci che, dal gennaio 1944, diventa la sede del reparto della banda. L'edificio è stato requisito dai tedeschi, che vi hanno insediato la polizia politica, che occupa il pianterreno e il secondo piano. La Banda Carità occupa il primo piano e il sottosuolo, adibito a prigione. 
La banda ha anche altre sedi in città, come stanze negli alberghi di lusso tipo l'Hotel Savoia o l'Hotel Excelsior. Può contare su un centinaio di elementi, tra cui Pietro Koch, l'aguzzino che crea a Roma una sua banda, la tristemente nota “Banda Koch”.


Carità ha una squadra addetta agli interrogatori, di cui una sezione applica sistematicamente torture, ha una guardia personale e per sfuggire agli attentati a volte si muove su un'ambulanza. Nella Banda ci sono i furieri, i carcerieri, gli informatori, chi si occupa degli arresti, chi si occupa dei rastrellamenti e un ufficio di amministrazione. Ci sono squadre speciali: la “Perotto”, dal nome del suo capo, detta anche “squadraccia” o “squadra della labbrata”; la “Manente”, comandata da Erno Manente, detta anche “squadra degli assassini”, che opera con le SS tedesche.
La Banda Carità è una macchina di violenza integrale e organizzata.


Uno dei primi a farne le spese è il partigiano parrucchiere Ferdinando Pretini, “Penna”, arrestato il 24 novembre 1943 e torturato orribilmente, tanto da renderlo invalido permanente.
Tanti gli omicidi, le torture e le sevizie operate da Carità e dalla sua banda, molte sono le morti e molti i sopravvissuti segnati per sempre nell’anima e nel fisico.
Alcune delle vittime: Alessandro Sinigaglia, Bruno Fanciullacci, Elio Chianesi, Enrico Bocci, Anna Maria Enriques Agnoletti, Gilda Larocca, Ferdinando Pretini, Max Boris, Italo Piccagli, Carlo Campolmi, Tina Lorenzoni, Tosca Bucarelli, Rocco Caraviello, Mary Cox, Maria Caraviello, Franco Martelli, Bartolomeo Caraviello, Vincenzo Vannini. 
La Banda Carità è anche responsabile della strage di Piazza Tasso del 17 luglio del 1944 durante la quale vengono uccisi Ivo Poli, di soli 8 anni, Aldo Arditi, Igino Bercigli, Corrado Frittelli e Umberto Peri, e la fucilazione dei 17 alle Cascine, ritrovati solo nel 1956, in una fossa paraschegge.  

Nell’estate del 1944, mentre le truppe angloamericane si avvicinano a Firenze, Carità si trasferisce nell’Italia del nord dove prosegue le proprie terribili attività.

È scappato con un tesoro: 1milione e 400 mila lire, 200 monete d'argento, due orologi d'oro, quattro anelli d'oro e uno con un brillante di raro valore, tutto da nascondere nel maso dove è rifugiato. Affida il bottino di furti e ruberie alla figlia più giovane del proprietario del maso, Frida Planotscher, che lo nasconde in una mangiatoia della stalla.
Carità muore nella notte tra il 18 e il 19 maggio 1945. È la polizia militare americana che lo scova in una casa di contadini a Castelrotto, un paese dell'Alpe di Siusi mentre è in fuga verso la Svizzera. Con lui, in camera da letto, l'amante Emilia Chiani e, in un'altra casa a pochi passi, le due figlie. Scoperto, agguanta la pistola e uccide un soldato, poi è freddato. La donna rimane ferita. 
Finisce così la vita uno dei più feroci aguzzini, un criminale di guerra.


Il 24 maggio 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alto Adige dà la notizia della sua morte “Il maggiore Mario Carità, capo delle SS italiane, è rimasto ucciso con la sua amante in un albergo delle Dolomiti durante una sparatoria con dei soldati americani che vi si erano recati per catturarli. Sono pure rimasti uccisi due soldati americani”.
Il 23 aprile 1951 al Tribunale di Lucca si apre il processo ai componenti della Banda Carità con 178 imputati. Presidente del Tribunale il giudice Renis.
Piero Calamandrei, già deputato all’Assemblea Costituente e protagonista della scrittura della nuova Carta fondamentale della Repubblica, è l'avvocato difensore delle vittime. Il processo termina il 28 luglio 1951. 
La sentenza fa discutere per molto tempo, è considerata indulgente.
Nell'arringa Calamandrei si esprime così: “Guardatevi, signori giudici, dal lasciarvi commuovere da parole che sentirete certo, incitanti all'indulgenza, alla dimenticanza, o come si dice alla “pacificazione”. Qui la pacificazione non c'entra: ci si pacifica tra nemici che hanno lealmente combattuto in campo aperto, ci si può riconciliare tra fazioni politiche che si sono accanite per servire ciascuna alla propria idea. Ma la tortura, l'ho già detto, non è un'idea politica”.

  • Riccardo Caporale, “La Banda Carità. Storia del Reparto servizi speciali, 1943-45”, S. Marco Litotipo, 2006
  • Carlo Francovich, “La Resistenza a Firenze”, La Nuova Italia, 1975
  • Andrea Mugnai, “Ora che l'innocenza reclama almeno un'eco”, Il Vantaggio, 1999

Mario Carità
Il comandante del Reparto dei Servizi Speciali che opera a Firenze durante il periodo della Repubblica Sociale, nelle parole di Agostino Chesne Dauphinè, organizzatore per il Partito d'Azione del soccorso ai prigionieri alleati e agli ebrei. Dopo gli interrogatori e le torture di Carità è inviato in campo di concentramento, da cui fugge in modo rocambolesco. 

Lo ricordo bene: i capelli nerissimi sui cui spiccava una candida ciocca nel mezzo della fronte, rivelatrice di anomalie che avrebbero fatto fare balzi di gioia a Lombroso. Ricordo la bocca sensuale, carnosa, il viso floscio e giallo, lo sguardo costantemente collerico, i pugni che stringeva di continuo, parlando. E un mento prominente, dalle mascelle favolose. Lo ricordo come lo vidi all'attimo della mia partenza verso la deportazione: nel mezzo di strada, pieno di spavalderia, con quelle sue narici da toro che si dilatavano a scatti, come a fiutare la femmina, con quella sua fronte minima, appena una striscia di carne fra sopracciglia e capelli. Batteva sulle cosce sode il frustino, teneva le spalle esageratamente indietro il mento all'insù, si bilanciava flettendo i ginocchi, come Mussolini. 
Quanto sangue, quante crudeltà, quante lacrime si nascondevano dietro a quelle spalle insolenti. Dal camion dov'ero, gli mollai un accidente. Fu un tiro lentissimo, ma preciso. Ci mise otto mesi ad arrivare, e lo raggiunse appunto quel tal giorno a Siusi, per mano di un soldato americano.
Lettura tratta dall'articolo di “Gulliver”, pseudonimo di Agostino Chesne Dauphinè, “Povero Carità!… La verità vera sulla fine di un brav'uomo”, pubblicato sul periodico antifascista “Non Mollare” del 28 ottobre 1946

Il perdono?
Memorie su Mario Carità e la sua banda di torturatori di Gilda Larocca, partigiana della divisione Giustizia e libertà e membro di Radio CO.RA., emittente clandestina che dal gennaio al giugno 1944 mantenne i contatti tra la Resistenza toscana e i comandi alleati. 

La Banda Carità è il nome del Reparto dei Servizi Speciali che opera a Firenze durante il periodo della Repubblica Sociale, comandato da Mario Carità.
Si deve sapere, da tutti, a cosa può portare la privazione della libertà, per incitare, sempre, al rifiuto di ogni e qualsiasi forma di violenza. E fu con lo stesso spirito, solo per coerenza e per giustizia che non firmai, qualche anno dopo il processo, un documento, una specie di perdono giudiziale per la riabilitazione di uno dei “quattro santi”. 
Il perdono, avrei anche potuto firmarlo, loro, non erano altro che i “manovali” del crimine verso i quali avevo nutrito un misto di ripugnanza, di disprezzo ed anche una punta di pietà, perchè, evidentemente, erano dei tarati; ma non per la riabilitazione: se uno è veramente pentito, deve accettare le conseguenze dei crimini commessi. 
Ma se la riabilitazione doveva servire solo a farlo rientrare nel consorzio delle persone oneste, civili, con un passato di quel genere, per me non andava bene; non è con una firma che si può trasformare una belva in un uomo. E sarebbe stato, a mio avviso, come offendere ancor più le loro vittime.
Lettura tratta dal libro di Gilda Larocca, “La Radio Cora di Piazza d'Azeglio e le altre due stazioni radio” pubblicato dalla casa editrice Giuntina nel 2004

Mario Carità
File audio
Il perdono?
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Giovanni Battista Mazzarisi. Il direttore che proteggeva antifascisti e ebrei
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