Gli ignoti che muoiono in guerra, militari e civili, di cui nessuno chiede notizie
Agosto 1944
La giovane sconosciuta di questa storia ha 19 anni, nata probabilmente nel 1925 è bionda e molto bella. Ha perso entrambi i genitori sotto il bombardamento del 25 settembre 1943 e tutti i suoi parenti sono al Nord, non può comunicare con loro. Sebbene la sua sia una famiglia intellettuale e benestante, non ha risorse per vivere, così lavora come inserviente nella clinica di Villa Ada in via Marconi, presidio ospedaliero organizzato dal parroco partigiano Don Pio Carlo Poggi nella zona di San Gervasio.
La direttrice è Ada Cervi, il professor Franceschini è il medico e Tina Lippi e il partigiano Del Conte sono infermieri. Tra i volontari c'è un prete, poco più grande di lei, Don Mario Chiappelli.
Alla parrocchia di San Gervasio a Campo di Marte il parroco partigiano Don Pio Carlo Poggi assiste ebrei, renitenti alla leva, disertori, partigiani e civili, li cura sia in canonica che a Villa Ada, e si occupa anche di raccogliere i morti per seppellirli, con un lenzuolo bianco e una croce, nel campo dei Conti Rasponi in viale Ugo Bassi. È la Repubblica di San Gervasio.
La sera del 2 agosto 1944 i nazisti minano via Michele Amari, che è nella zona, e la distruggono completamente. Si tratta di una rappresaglia per l'uccisione di un soldato che, in coppia con un altro, aveva imperversato tutta la mattina in bicicletta per le strade del quartiere, fermando i passanti e, con la scusa di controllarne i documenti, li derubava di orologi. Aveva rubato anche un anello ad una donna.
Alla fine della giornata i due tedeschi si dividono, uno si dirige verso viale De Amicis, l'altro che poi verrà ucciso entra in via Michele Amari da viale Manfredo Fanti, fermandosi al primo cancello, sulla destra. Lo seguono tre giovani, uno ha i calzoncini corti e, al fianco, porta una pistola, la estrae e lo uccide.
A pochi metri, in viale Cialdini, stazionano numerosi nazisti e collaborazionisti fascisti. La notizia dell'uccisione si diffonde rapidamente, come la paura della rappresaglia, complice anche un vigile spia che corre al comando tedesco. Tutte le famiglie della via scappano e si nascondono soprattutto verso il Salviatino.
Don Poggi, aiutato dalla sorella crocerossina Maria e dal fratello Ivo, decide di far recapitare una lettera al cardinale Dalla Costa perché interceda presso il comando tedesco per scongiurare una rappresaglia. La staffetta è la sorella Maria che, vestita da crocerossina in pieno coprifuoco, attraversa il Ponte al Pino, arriva all'arcivescovado per tornare poi intorno alle 23.
Il cardinale informa il comando tedesco ed effettivamente al soldato sono trovati 38 orologi e 29 tra portafogli e borsette ma la popolazione di San Gervasio è comunque colpevole della sua morte e ne deve pagare le conseguenze.
Le mine sono collocate negli ingressi delle 18 case di via Michele Amari. I tedeschi fanno in fretta, incombe la distruzione dei ponti di Firenze.
A mezzanotte più di 18 boati squarciano il silenzio di Campo di Marte. Cumuli di macerie, facciate crollate, nulla rimane se non, in lontananza come una quinta teatrale, alcuni piatti su una vetrina.
Villa Ada è a pochi passi dalla chiesa di San Gervasio ed è l'ospedale da campo di Don Pio Carlo Poggi che, con l'aiuto del vice parroco Don Fosco Vandelli, del seminarista Carlo Bertini e del dottor Francesco Racanelli, cura i feriti anche in canonica.
I ponti di Firenze sono saltati la notte tra il 3 e il 4 agosto, la linea del fronte è il Mugnone, la Kanal linie, e San Gervasio e Campo di Marte sono nella terra di nessuno. Le persone sono nascoste nelle case, nelle cantine, sono senza cibo, senza acqua. Il quartiere è in mano ai nazisti e ai franchi tiratori.
San Gervasio e Campo di Marte sono cannoneggiate e bombardate, i collegamenti con il resto della città sono quasi nulli. Solo alcune persone, riescono a passare di là, crocerossine, come Maria Poggi, medici con la bandiera bianca, staffette, partigiani. Alcuni si mettono un finto bracciale e tentano la sorte. I civili sono bersaglio dei cecchini.
I morti rimangono per le strade sotto il sole d'agosto e nemmeno i parenti che li sentono gemere possono avvicinarsi.
San Gervasio è in balia di furti, violenze, esecuzioni sommarie.
La giovane protagonista della storia è arrestata all'angolo di via Cento Stelle mentre con Don Mario Chiappelli assiste un morente. Da una finestra un gruppo di uomini spara su di loro e alla fine scende e arresta la ragazza, lasciando libero il prete.
Viene portata in una casa nelle vicinanze e Don Chiappelli la raggiunge la sera.
È reclusa in una camera, la porta è un cancello. La ragazza chiede alla guardia, dall'aspetto estremamente stanco, uno straccio per pulire e la guardia si rivolge a Don Chiappelli “la fucilazione le dà alla testa!”
La sua sorte è dunque segnata e Don Chiappelli è lì per somministrarle la comunione come forma di conforto.
La ragazza pulisce con i gesti di sempre, con diligenza, con servizio, è un allontanamento dallo stato di realtà. Pulisce col fazzoletto anche la panca dove si siede il prete, coperto di polvere, sudore e di sangue rappreso dei feriti soccorsi. Chiede alla guardia anche una scopa e dell'acqua.
Don Chiappelli la descrive lucida, come chi deve sistemare prima di compiere una grave azione: morire.
Di fronte a questa frenesia, il prete rimane tanto sconvolto da pensare che la morte è, fra tutte le cose, la soluzione liberatoria. Desidera addirittura un conforto dalla ragazza, un suo sguardo misericordioso, che alla fine la ragazza gli dona, facendogli coraggio. Il prete ne è straziato.
La notte trascorre tra parole e silenzi, in una pace impensabile, una vigilia, fino a che smarrita, la giovane sussurra “Mi dispiace non aver avuto figli”.
Il rimpianto di non lasciare traccia di sé è lacerante, la coscienza di un passaggio inutile sulla terra.
È l’alba e si avvicina l’ora della fucilazione, la ragazza ricorda la mamma “Se ci fosse vorrei farmi raccontare… Cantava anche”, canta piano una ninna nanna ma passi rimbombanti si avvicinano. Sono i quattro militi che devono condurla allo stadio, oggi Artemio Franchi, il luogo della fucilazione.
Don Chiappelli, di poco più grande della ragazza, si scopre a pensare che vorrebbe un'arma per ucciderli e salvarla. I quattro “sono terrei in volto, immondi di stanchezza”, di varie età, uno con i capelli grigi. Non una parola, la ragazza in manette nel piazzale dello stadio grida “Non possono far questo. Nessuno può costringerli a questo, sono anime di Dio, figli di mamma, nessuno li può condannare”.
Don Chiappelli, sopraffatto dalla commozione, riesce solo a balbettare “Non sanno quello che fanno. Non si danneranno… tu li perdoni”. E la ragazza, annuisce “Io sì, io sì, sì, sì, li perdono” e chiede di parlare all'ufficiale che comanda il plotone, un giovane ragazzo come lei.
L'ufficiale la guarda, ha un attimo di perplessità e in quell'attimo la ragazza si slancia verso di lui.
Sono tre giovani: l'ufficiale, il prete, la ragazza.
Il prete sente una vertigine e spera in un esito diverso, ma niente cambia il corso delle cose. L'ufficiale fa segno ai soldati di schierarsi davanti al muro dello stadio. La ragazza è sopraffatta dall'emozione, piange piano, sorride e sussurra “Non stare in pena… non stare in pena”. Alza le braccia come a volerlo abbracciare ma ha le manette e infine piange sul suo petto. L'ufficiale domanda freddamente se sia pazza. Ma la ragazza continua dicendogli “Non è colpa tua… caro, mio caro, nessuno ha colpa”. “È questo che avevi da dirmi? Non altro?”, “Non altro”, risponde all'ufficiale la giovane sconosciuta.
L'ufficiale si dirige verso il plotone, lo sguardo non è più freddo, ma sembra smarrito. Passano pochi eterni secondi prima del segnale del fuoco. Sono secondi di panico, addirittura è la ragazza che gli fa coraggio, guardandolo fisso. A un tratto parte il comando e “i soldati tesi nell'aspettativa spararono senza rendersi conto che quel grido era venuto da lei…”. L'ufficiale e Don Chiappelli accorrono sul cadavere della giovane e trovano “un povero volto, gli occhi spalancati della ragazza esprimono terrore”.
Questo è ciò che accade allo stadio di Firenze nei primi giorni d'agosto del 1944.
- Orazio Barbieri, "Ponti sull'Arno", Editori riuniti, 1975, pp. 265-272
- Ugo Cappelletti, "Firenze “città aperta”. Agosto 1944 – Cronaca di una battaglia", Bonechi, 1975
- Comitato regionale toscano per le celebrazioni del Trentennale della Resistenza e della Liberazione, "Il clero toscano nella Resistenza. Atti del Convegno, Lucca, 4-5-6 aprile 1975", La Nuova Europa, 1975
- Conferenza episcopale Toscana, "Chiese toscane. Cronache di guerra: 1940-1945", Libreria editrice fiorentina, 1995, pp. 79-146
- Giuliana Occupati, "Campo di Marte da sempre. Testimonianze di Resistenza quotidiana negli anni 1944-1945 a Firenze", Morgana, 2006
- Giuliana Occupati, "Via Michele Amari. 2 agosto 1944", Morgana, 2004
- Don Pio Carlo Poggi, "Episodi della guerra nella “Terra di nessuno”, in Fosco Vandelli, "Al servizio di Dio e degli uomini", Tipografia cattolica fiorentina, 1978, pp. 220-241
- Luisa Terziani, "Battaglia a San Gervasio", in "Comitato femminile antifascista per il 30. della Resistenza e della Liberazione in Toscana, Donne e Resistenza in Toscana", Giuntina, 1978, pp. 21-27
- "Preti fiorentini. Giorni di guerra, 1943-1945. Lettere al vescovo", a cura di Giulio Villani, Libreria editrice fiorentina, 1992
San Gervasio, le donne morte durante i giorni della liberazione, tra queste una senza nome
Memorie di Don Bertini, studente del Seminario Arcivescovile, poi nel dopoguerra parroco di San Gervasio
Tra le donne che persero la vita in quel tragico agosto – senza contare quelle rimaste ferite e mutilate – ricordo: Silvia Mascagni, di appena 14 anni, colpita a morte il 16 agosto; Capitani Graziella, di 20 anni, colpita al cranio da schegge di granata, morta il 20 agosto; Agostini Everilda, di 25 anni, forse fucilata dai soldati tedeschi nella propria abitazione il 23 agosto; Bantelli Ada, di 35 anni, morta in seguito ad asportazione degli arti inferiori a causa dello scoppio di una cannonata, il 22 agosto; e così ancora: Tani Elisa, Nannelli Teresa, Donati Maria, Farsi Emilia, Ugolini Norma, Garini Margherita, Capaccioli Oscarina, Tosi Antonietta, tutte decedute per causa di guerra e sepolte nel cimitero improvvisato del viale Ugo Bassi.
Meraviglioso contributo alla libertà e alla rinascita della nostra patria!
C'è anche una donna senza nome, che non potrò mai dimenticare: un volto anonimo, dagli occhi spenti. Fucilata in un quartiere delle case popolari di Via Enrico Toti si era accasciata al suolo, scivolando lungo la parete e il suo corpo di gestante, ormai prossima al parto, racchiudeva ancora il germoglio di una vita che non sarebbe più nata.
Uno dei bossoli di fucile, raccolti sul pavimento, mi ricorda dopo trent'anni di tempo – ore 14.45 della domenica 13 agosto – un volto ignoto che mi si è inciso nel cuore.
Lettura tratta da “La battaglia di San Gervasio”, capitolo del libro “Donne e Resistenza in Toscana”, a cura del Comitato femminile antifascista per il 30° della Resistenza e della Liberazione in Toscana del 1978
La distruzione di via Michele Amari nel quartiere di Coverciano
Passo della lettera di Don Pio Carlo Poggi, priore di San Gervasio, al Cardinale Elia Dalla Costa, 3 agosto 1944. Per gentile concessione dell'Archivio storico diocesano di Firenze
Ho potuto ricostruire i fatti avvenuti attraverso i testimoni oculari. Circa le diciannove, due tedeschi in bicicletta giunsero nel viale Manfredo Fanti dalla parte di Via Castelfidardo e incominciarono a esigere i documenti dei cittadini che passavano facendosi poi consegnare gli orologi dei medesimi. A chi negava, facevano minacce e dicevano a chi azzardava dire che sarebbe andato al comando a richiedere l'orologio: “Venite a Bologna a riprenderlo”. Si afferma che quello ucciso ha portato via anche l'anello ad una donna. Circa le ore venti, mentre uno dei due tedeschi era entrato nel viale De Amicis, l'altro, l'ucciso, entrava in via Michele Amari e bussava al primo cancello a destra, entrando dal viale Manfredo Fanti. Da questo viale stesso sopraggiungevano tre giovani sconosciuti dei quali uno, in calzoncini, che portava visibile al fianco una rivoltella, i quali si avvicinavano al tedesco e questo giovane esplodeva due colpi uccidendolo.
Molti sono i testimoni del fatto e nessuno conosce questi tre giovani che li descrivono abbronzati dal sole; uno, ripeto, in calzoncini e armato, gli altri due in calzoncini lunghi con maglietta sbracciata.