La storia dei ponti e della loro difesa, il fiume e l’acqua elementi di salvezza
In guerra il fiume può diventare il fronte, il limite, l'unico passaggio, ma se il ponte è distrutto, com'è possibile avanzare?
La distruzione dei ponti di Firenze da parte dei tedeschi nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944 aveva lo scopo di rallentare l'avanzata delle truppe Alleate. I tedeschi dovevano guadagnare tempo per terminare la costruzione della Linea Gotica, la grande linea di difesa sulla dorsale appenninica fra La Spezia e Rimini.
I genieri tedeschi minarono i ponti facendo tabula rasa di tutto, uno spregio inutile perché gli Alleati in pochi giorni costruirono un provvisorio ponte Bailey e attraversarono senza problemi l'Arno. Nel pomeriggio del 29 luglio il comando nazista ordinava di sgomberare una vasta area vicina all’Arno di entrambe le sponde del fiume. Con mezzi di fortuna, tantissime famiglie, migliaia di fiorentini, dovettero lasciare le proprie case e diventare profughi nella propria città con carretti e con poche masserizie.
In 5000 si rifugiarono in Palazzo Pitti, il palazzo reale. Alle 14 di giovedì 3 agosto 1944 i tedeschi affissero per le strade di Firenze i manifesti dello stato d'emergenza. I fiorentini ebbero tre ore di tempo per rinchiudersi in casa, con finestre e porte sbarrate. I tedeschi ebbero l'ordine di sparare a chi avessero trovato per strada. Firenze non fu, come molti credettero o sperarono, grazie alle sue opere d'arte, “città aperta” ma fu oggetto di distruzione e di morte.
I membri del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN) decisero di rimanere uniti fino all'insurrezione nell'ufficio di Natale Dell'Oppio in via Condotta 8. Sbarrarono le porte e con loro portarono armi, bracciali, tessere di riconoscimento. A poche decine di metri, in piazza Strozzi 2, si stabilì il Comando militare del CTLN con a capo il colonnello Nello Niccoli. Poi fu un silenzio spettrale, una sospensione del tempo.
Dalle 22 del 3 agosto fino all'alba del 4 agosto 1944 una serie d'esplosioni, una dopo l'altra, distrusse i ponti, come un effetto domino: Ponte alle Grazie, Ponte Santa Trinita, Ponte alla Carraia, Ponte San Niccolò, alla Vittoria, e tutte le strade intorno a Ponte Vecchio, l'unico a rimanere in piedi, per decisione degli stessi nazisti.
Rimase aperto il passaggio del Corridoio vasariano che collega, ancora oggi, Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti, l'unica via di comunicazione dei partigiani tra le due sponde. Questo passaggio fu aperto nei giorni successivi dal comunista Orazio Barbieri e da Enrico Fisher, comandante della III Divisione di Giustizia e Libertà, che, insieme ad altri componenti del CTLN, stese un filo telefonico, mettendo così in contatto la sala delle carte geografiche agli Uffizi con una postazione partigiana nei pressi di piazza Santa Felicita.
Un altro ponte rimase in piedi: il piccolo ponte di Mantignano, detto dei “cazzotti”. Con la sua difesa i partigiani delle SAP salvarono anche l'acquedotto di Santa Maria a Mantignano, la cui acqua arrivava tramite una condotta interrata, fino al ponte alla Carraia.
Una scelta di coraggio e tenacia per cercare sempre una via per avanzare. I fiorentini, appena poterono, fecero la fila per attraversare l’Arno sulle macerie dei ponti o lungo il ponte Bailey e andare di là per riappropriarsi della loro identità e vedere con i propri occhi se Firenze c'era ancora ed era viva.
"Oltre il ponte, oltre il ponte ch'è in mano nemica vedevam l'altra riva, la vita tutto il bene del mondo oltre il ponte”. Italo Calvino
Le Memorie di Resistenza fiorentina difendono e attraversano i ponti.
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