Il ponte dei Cazzotti e l'acquedotto di Mantignano

L'antifascismo, la renitenza alla leva, le azioni delle Squadre di Azione Patriottica

Protagonisti sono i partigiani della 2° compagnia della Squadra di Azione Patriottica (SAP) 1° Zona PCI. Le SAP di San Bartolo a Cintoia, di Mantignano e Ugnano sono fondamentali per varie ragioni: nascondono i giovani renitenti alla leva delle classi 1923, 1924, 1925, diffondono idee antifasciste, raccolgono fondi, medicinali e individuano giovani da arruolare nelle formazioni partigiane in montagna e agiscono anche grazie alle staffette. Tra queste, Flora Scuffi che porta materiale clandestino, giornali, documenti, ordini ed è l’unica donna di Mantignano ad essere riconosciuta staffetta partigiana. Mario Pirricchi, commissario politico delle SAP 1° Zona PCI, è solito incontrare i ragazzi di queste zone in un luogo isolato presso la foce del torrente Greve, ritrovo di sappisti e renitenti. Alle 17 del 3 agosto è dichiarato lo stato di emergenza, sta per iniziare l’operazione Feuerzauber, Incantesimo di fuoco, che prevede la distruzione dei ponti della città. Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN) comprende l'importanza della difesa dei ponti e tenta di impedirne la distruzione per consentire un più veloce e agevole passaggio delle truppe alleate. A Mantignano sono da difendere l'acquedotto e il ponte detto “dei cazzotti”. Ascanio Taddei, comandante del distaccamento di San Bartolo, Ugnano e Mantignano, ha ricevuto l'ordine, risponde “faremo il possibile”. Alle 22 i tedeschi fanno saltare i ponti sull’Arno e sulla Greve all’altezza di via Pisana e di via di Scandicci e anche il ponte di servizio dell'acquedotto lasciando la città senz’acqua. Il "Ponte dei cazzotti” è minato sotto la campata dove, alla ringhiera di ferro, sono collocate delle tavole di legno, legate con delle corde. La mattina del 4 agosto sul ponte ci sono soldati tedeschi in attesa di ordini, ormai gli Alleati sono vicini. Per difendere il ponte il CTLN manda un rappresentante, rimasto anonimo, che in un momento favorevole dissinesca le mine, taglia le corde e fa cadere l'esplosivo nel torrente Greve. I partigiani delle SAP di Ascanio Taddei, compreso Ivan Cini, l'unico testimone superstite che ha potuto raccontare la storia, rimangono a presidiare il ponte.

Quando i tedeschi tornano per farlo saltare, non sapendo che è stato sminato, i due gruppi cominciano una sparatoria. I partigiani si ritirano dietro un muretto in via del Ponticino, i tedeschi lanciano delle bombe a mano e una cade vicino a Renato Taddei senza esplodere. Dopo aver cessato il fuoco si ritirano. Il ponte non è saltato e le SAP rimangono a presidiarlo fino all'ora di pranzo, quando la mamma di Ivan Cini chiama lui e il fratello Alimo per andare “a desinare” e per invitarli a farla finita con “quel gioco della guerra”. Ma è tutto fuorché un gioco. L'appuntamento è nel primo pomeriggio per sminare tutta l'area dell'acquedotto di Mantignano.  Alla SAP di Ascanio Taddei si unisce anche una squadra delle SAP di Scandicci, che portano una mitragliatrice con treppiede, con Cesare Ciappi al comando, ne fa parte anche Dino Catarzi. I partigiani arrivano con una squadra da via del Bobino, l'altra da viuzzo di Scopaia. I tedeschi hanno abbandonato l'area, così i giovani entrano nell'acquedotto e disinnescano le mine poste alle grandi pompe e ai quadri elettrici. In seguito si dirigono verso la chiesa di Santo Stefano a Ugnano, in via di Fagna, disseminata dai tedeschi di mine anticarro. Di fronte al cancello del podere della chiesa, durante la bonifica, una mina esplode. Muoiono dilaniati Dino Catarzi e Alfredo Marzoppi. In una seconda esplosione muoiono Gino Del Bene e Ascanio Taddei. Alimo Cini, Gino Romoli e Guido Fabiani sono feriti e trasportati a Legnaia in un piccolo ospedale da campo delle truppe neozelandesi, ormai alle porte della città. Un altro giovane partigiano del gruppo, Silvano Masini, amico fraterno di Ivan Cini, è ucciso da una mitragliata tedesca mentre tenta di attraversare l'Arno per andare a Brozzi dalla fidanzata sulla zattera di “Carlino” al Piaggione, all'altezza del Ponte all'Indiano. Il suo corpo viene ritrovato 40 giorni dopo e riconosciuto solo da alcuni indumenti: il maglione verde e il bracciale del CTLN.

Dino Catarzi nasce a Scandicci, in provincia di Firenze il 20 febbraio 1917 da una famiglia contadina, antifascista e comunista che abita a Scandicci in via Pisana 95 in una colonica in angolo con via Jerzy Popielusko.
La famiglia è composta dal padre, Natale, dalla madre Enrichetta Mecocci e da cinque sorelle e un fratello, Giuseppe, poi prigioniero dei tedeschi dopo l'8 settembre 1943.
Richiamato alle armi riesce a rimanere a Firenze come attendente di vari ufficiali. Ama la caccia, il ballo e le ragazze, ricambiato. È militante del PCI.
Partecipa alla Resistenza entrando nell'organizzazione clandestina ed entra nelle SAP di Scandicci al comando di Cesare Ciappi.
In una nicchia vicino casa conserva una pistola che prende solo quando deve compiere delle azioni. 
Con le SAP di Ugnano, il pomeriggio del 4 agosto 1944, durante un’operazione di bonifica, muore dilaniato.
I tedeschi hanno disseminato il terreno di mine, le “booby traps”, letteralmente bombe per stupidi, sono mimetizzate dappertutto, anche sulle siepi. 
È sepolto con i genitori in un colombaio del cimitero della Pieve di Scandicci. La lapide ricorda la sua militanza partigiana e il sacrificio compiuto.

 

Gino Del Bene nasce a Casellina e Torri, oggi Comune di Scandicci  il 4 novembre 1907.
Il padre si chiama Pilade, la madre Teresina. Il suo soprannome è Ginaccio, abita in via Querci 21 a San Bartolo a Cintoia e di mestiere è pasticcere. Nell'esercito diventa un esperto sminatore.
Entra nelle SAP. Il 4 agosto è un giorno felice per Gino, perchè è diventato padre. 
Mentre si sta preparando per andare in via degli Alfani a trovare la moglie e conoscere il figlio appena nato, decide di accompagnare i compagni di Mantignano per mettere a disposizione le sue abilità di sminatore.
Muore dilaniato da una mina in via di Fagna, dietro la chiesa di Ugnano, insieme ad Alfredo Marzoppi, canonico. Muore sapendo di essere appena diventato padre. Ha 37 anni.

Alfredo Marzoppi nasce a Carmignano, in provincia di Prato il 18 aprile 1917
Il padre si chiama Eugenio, la madre Maria Villani. Abita in via di Fagna 12 
È contadino e lavora i terreni della curia di Ugnano. Nelle proprietà della curia convive con la fidanzata Erminda, che ha previsto di sposare dopo il passaggio del fronte.
La sua compagna aspetta una bambina, eppure non ci pensa due volte ad aiutare i compagni a sminare nel pomeriggio del 4 agosto 1944 in via di Fagna. Muore dilaniato da una mina insieme a Gino Del Bene. La figlia Fiorenza non conoscerà mai suo padre. È sepolto nel cimitero di Ugnano senza che nulla ricordi la causa della sua morte.
 

Ascanio Taddei nasce a Scandicci il 6 giugno 1926 in una famiglia antifascista. Il padre si chiama Enrico, la madre Ines Fanfani. Abita in via del Chiuso a Mantignano. È operaio alla Cisa, la ditta di lucchetti e serrature. Il padre era stato punito dai fascisti per le sue idee, così il 25 luglio 1943, alla caduta del regime, Ascanio regola i conti con un fascista del quartiere, un tale “Gegia”. Ha due fratelli maggiori Umberto, militare nei Balcani, e Renato. Umberto sposa Flora Scuffi, staffetta partigiana. Entra nelle SAP e assume il comando dei distaccamenti di San Bartolo, Ugnano e Mantignano. Porta sempre al collo il fazzoletto da partigiano, anche il giorno della sua morte, il 4 agosto 1944. Ha solo 18 anni. La sua prima tomba è insieme all'amico Silvano Masini al cimitero di Mantignano, con una falce e un martello e una lunga dedica. Adesso riposa insieme ai deceduti della famiglia Taddei in unico loculo. Nulla ricorda la causa della morte.

Silvano Masini nasce a Scandicci il 7 aprile 1924. Il padre si chiama Amato, la madre Giulia Barducci. Abita in Via di Mantignano all'altezza del numero 76, in un cortile interno. Lo chiamano “il Betti” e fa il renaiolo. La sua famiglia è antifascista. 
Attraversa spesso l'Arno sulla zattera del "navicellaio" “Carlino”, che collega Mantignano alle Cascine e traghetta le persone dal Piaggione, vicino all'attuale Ponte all'Indiano, oltre l'Arno.
Entra nelle SAP. Il 4 agosto, dopo aver salvato dalla distruzione, insieme ai compagni, l'acquedotto di Mantignano e il "Ponte dei cazzotti” e dopo la morte dei compagni, saluta l'amico Ivan Cini e decide di attraversare l'Arno per andare dalla fidanzata a Brozzi dicendo “Se un siam morti oggi, un si muore più!".
Non ci arriva, è falciato dalle mitragliatrici tedesche. Il suo corpo è ritrovato molti giorni dopo ed è riconosciuto solo grazie agli indumenti: un maglione verde e il bracciale del CTLN. Il suo corpo è recuperato dai compagni, che temono sia circondato dalle mine, e portato a spalla alla Casa del Popolo di San Bartolo a Cintoia. Riposa nel cimitero di Mantignano ma niente ricorda la causa della morte.

  • A cura di Franco Quercioli, “Firenze 1944. Mappa dei partigiani. Antifascismo e Resistenza nel Quartiere 4”, CD&V, Firenze, 2019
  • Mario Pirricchi in “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza. 1943-1944”, Istituto Gramsci Toscano, Firenze, 1984
  • “Quel 4 agosto del '44. I partigiani e l'acquedotto di Mantignano”, Firenze, 2013
  • Comitato femminile antifascista per il 30° della Resistenza e della Liberazione in Toscana, “Donne e Resistenza in Toscana”, Tipografia Giuntina, 1978

Mantignano. L'azione partigiana del 4 agosto 1944
Cronache dal giornale “Potente”, voce delle organizzazioni comuniste della I zona, 11 agosto 1945

Nonostante che, il numero e l'entità dei fatti d'arme non raggiungesse l'importanza di quegli svoltesi dopo l'11 agosto nella parte Nord della città, non poche furono le azioni individuali e collettive compiute contro i tedeschi. Fra tutte, citeremo, per le perdite notevoli subite dal nemico e per il pieno raggiungimento dell'obiettivo propostosi, il fatto d'arme svoltosi a Mantignano. I tedeschi furono sorpresi mentre stavano per dare fuoco alle mine, poste allo scopo di far saltare l'acquedotto, e dopo aver subito perdite non indifferenti, dovettero ritirarsi. Un ritorno offensivo permise loro di portare via degli uomini rimasti sul terreno, il cui numero non fu potuto così controllare, ma non di far saltare le mine a cui era stato tolto l'innesco.
La seconda compagnia comunista a cui si deve tale azione, ebbe cinque morti (Del Bene Gino – Taddei Ascanio – Marzoppi Alfredo – Catarsi Gino – Masini Silvano) e vari feriti, fra cui uno, grave, che fu in seguito amputato (Romoli Gino), ma salvò l'acquedotto, d'importanza essenziale per l'approvvigionamento idrico della città.

Il salvataggio del Ponte dei cazzotti e dell'acquedotto di Mantignano, 4 agosto 1944
Memorie di Mario Pirricchi, partigiano, commissario politico delle Squadre di Azione Patriottica in Oltrarno. A lui è affidata la Seconda compagnia della SAP che opera nella zona di Monticelli nel rione di Soffiano

Mentre stavamo lì per dare l'ordine alle squadre di cominciare a prendere posizione, saltò il primo ponte verso l'albeggiare del 4 agosto; poi saltarono via via tutti gli altri; in quel momento avemmo l'ordine dell'insurrezione: fuori le squadre, fuori la popolazione. E andammo a chiamare gli alleati, che erano in vicinanza di Scandicci e venivan giù dalle colline del Pian dei Cerri, per dirgli che si affrettassero perchè la parte oltrarno della città ormai era libera dai tedeschi; che noi avevamo paura che i tedeschi facessero delle puntate, ritornassero in qua e che quindi avevamo bisogno dei carrarmati, delle loro armi, perché noi, come ripeto, avevamo delle armi raccogliticce dal punto di vista militare. Quel giorno del 4 agosto, i ragazzi di Mantignano levarono 20 mine dall'acquedotto, l'ultima saltò e morirono 5 compagni: Ascanio Taddei, Gino Del Bene, Alfredo Marzoppi, Gino Romoli e Alfredo Catarsi, altri rimasero feriti. L'acquedotto poté essere salvato, per aver tolto queste mine Firenze poté avere l'acqua a breve scadenza.
Fu salvato dalla distruzione anche il ponte di Mantignano, mentre non riuscimmo a salvare il Ponte alla Vittoria. Si è detto che questo fu dovuto alla morte della staffetta che doveva portare l'ordine, ma io penso che noi non avevamo la forza per poterci opporre ai guastatori tedeschi, che erano fortemente armati e ben preparati. Non credo che noi non avemmo il coraggio, ma le armi per poter far fronte ai tedeschi.
Lettura tratta dal libro “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza (1943/1944)” pubblicato dall’Istituto Gramsci Toscano nel 1984.

Mantignano. L'azione partigiana del 4 agosto 1944
File audio
Il salvataggio del Ponte dei cazzotti e dell'acquedotto di Mantignano, 4 agosto 1944
File audio
Ivan Cini. Renitente alla leva e l'azione di Mantignano il 4 agosto 1944
4 agosto '44, il Ponte dei cazzotti e la difesa dell'acquedotto di Mantignano. Una storia di comunità
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