Partigiano e funzionario della Soprintendenza e la difesa delle opere d'arte
Cesare Fasola nasce a Torino il 22 dicembre il 1886 vive con la famiglia, il padre Antonio, la madre Maria Baserico e il fratello Alfredo in via dei Ginori 27. Cesare frequenta a Firenze il Collegio eugeniano di via dello Studio, si laurea in lettere presso la Facoltà di lettere e filosofia della Regia Università di Torino e sostiene l'esame finale della Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica del Regio Archivio di Stato di Torino.
Dal 1922 è professore di lettere e insegna prima al Regio ginnasio Piera Dionisio di Fossano, poi a Pinerolo. Dal 1 aprile 1933 al 1 ottobre 1957, anno del suo pensionamento, è assegnato alla Soprintendenza alle Gallerie per le province di Firenze, Arezzo e Pistoia. Conosce bene Firenze, essendoci stato da ragazzo. Ha appena lasciato l'abito talare, perché quella di sacerdote, forse, è stata una decisione più per compiacere la madre, morta nel 1932, che per vocazione e il 31 ottobre 1934 sposa, a Fiesole, Giusta Nicco, professoressa di storia dell'arte, conosciuta forse a Fossano.
Cesare e Giusta abitano a Firenze in via di Camerata 27 e poi, dall'estate del 1940, a Fiesole, in via degli Angeli 4, sotto il convento di San Francesco, in una casa di proprietà di Maria Vittoria Chiarugi Micheli. In Soprintendenza ha l'incarico di dirigere la Biblioteca delle Gallerie, oggi Biblioteca degli Uffizi.
A Firenze nel 1937 fa parte del Gruppo rionale fascista Giovanni Berta, Circolo Gino Martelli con sede in via Boccaccio 30 che, dal 1941 pubblica il giornale mensile “La Ghega”. Dal modulo di iscrizione nella sezione di Firenze del Partito d'Azione, a cui si iscrive il 1° settembre 1944, risulta la sua adesione al Partito Nazionale Fascista dal 1927 al 1943, di essere stato “denunciato e sorvegliato” dal regime fascista, di aver svolto attività clandestina dopo l'8 settembre 1943 e di essere stato nel Partito d'Azione già dal 1941, inquadrato nella Cellula 900, il cui capo è la moglie Giusta Nicco. Cesare si occupa di propaganda e organizzazione del Comitato di Liberazione Nazionale di Fiesole. Tra i compagni di partito indica Carlo Ludovico Ragghianti e Ernesto Codignola.
Dopo l'8 settembre 1943, data dell’annuncio dell’armistizio italiano, fa parte a Firenze dell'esecutivo del Partito d'Azione e del comando di Divisione di Giustizia e Libertà. Rappresenta più di una volta il Partito d'Azione nel Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e fa parte con la moglie del Comitato di Liberazione di Fiesole. Alcune riunioni del Comitato si svolgono in casa Fasola in via degli Angeli 4. Le firme dei partecipanti, visibili ancora oggi ai lati del caminetto, sono segnate tra le date “ottobre 1943 – 6 settembre 1944” e sono di Giusta Fasola, Cesare Fasola, Giovanni Ignesti, Aldo Gheri, Mino Labardi, Edoardo Salimbeni.
Ha due incarichi fondamentali per la storia della Resistenza: la tutela delle opere d'arte messe in salvo nelle ville e nei castelli nei dintorni di Firenze e, come funzionario della Soprintendenza, la valutazione, fra i beni sottratti alle famiglie ebraiche, della presenza di opere d'arte ciò che ha permesso di evitarne la depredazione e poi, nel dopoguerra, la restituzione ai legittimi proprietari.
Proprio in questa veste, dal 28 al 30 giugno 1944, ha a che fare con il maggiore Mario Carità, comandante del Reparto dei Servizi Speciali, a cui dal Comune è stato detto che Fasola è il funzionario della Soprintendenza che si occupa dei beni di pregio requisiti agli ebrei.
Carità sostiene di avere l'autorizzazione del prefetto a prelevare gli oggetti più pregiati per difenderli dalle truppe angloamericane e per vendere all'asta, tramite la ditta Materazzi, quelli meno pregiati o ingombranti.
I beni in custodia alle Gallerie sono 18 casse, con beni artistici della sinagoga, custodite nei sotterranei della Loggia dei Lanzi e una parte alla Galleria dell'Accademia.
Fasola accompagna Carità dal Soprintendente alle Gallerie fiorentine Giovanni Poggi, i due discutono animatamente.
Poggi dichiara che le consegnerà, solo se gli verrà ordinato, mentre per i beni depositati all'Accademia, sostiene che non siano di grande pregio e che la vendita non è conveniente. L’intento di Poggi e Fasola è quello di evitare che gli oggetti vengano portati via da Firenze.
Il pomeriggio dello stesso giorno, il 28 giugno, uomini della banda Carità, all'insaputa di Fasola e Poggi, entrano alla Galleria dell'Accademia per scegliere gli oggetti da portare via.
Il giorno dopo Fasola si reca alla Galleria dell'Accademia e vi trova Carità e uomini della sua banda, tra questi Manzella, e un oscuro personaggio con occhiali, alto e robusto, Materazzi, Becattini, un ragioniere della Ditta Materazzi intenti a scegliere gli oggetti. Addirittura Carità chiede consiglio a Fasola, che cerca in ogni modo di farlo desistere dal prelievo con la scusa che le opere non possono sostenere un viaggio e all'asta sarebbero state svalutate.
Fasola non riesce a persuaderli, la razzia delle opere d’arte è iniziata e nemmeno Pavolini, segretario nazionale del Partito fascista repubblicano, in quei giorni a Firenze per organizzare gruppi di “franchi tiratori” che combatteranno in città al passaggio del fronte, interpellato da Poggi, riesce a impedirlo. Anzi ad un certo punto, come riporta il diario di Fasola, pare abbia detto a Carità “Beh fa' pure come ti pare”. Dell'elenco dei beni depredati non viene rilasciata nemmeno una copia, nonostante le insistenze di Fasola.
Il 29 giugno sul "Nuovo Giornale" è annunciata la vendita all'asta. Dal diario di Cesare Fasola, custodito presso l’Archivio dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea: “Dai nostri custodi Linari, Novelli, Cipriani, che erano presenti, seppi che avevano visto persone allontanarsi con oggetti e la stessa macchina del maggiore fare più viaggi con oggetti diversi. Dal maggiore all'autista, ai militi, tutti più o meno si sono serviti”.
Con questo bottino e tanto altro ancora, il maggiore Mario Carità fugge poi verso il Nord.
Dall'inizio della guerra i monumenti sono stati protetti dalle schegge e dalle vibrazioni prima con legname, sacchetti di sabbia e tettoie in eternit, poi dal 1942, quando iniziano i bombardamenti sui centri storici, il legname e i sacchetti di sabbia sono sostituiti con strutture in muratura. Firenze è un museo blindato.
Poi, temendo il pericolo dei bombardamenti sulla città, le opere d'arte mobili, dipinti, sculture, della Soprintendenza, di musei, chiese e collezioni private fiorentine sono state portate in ville, castelli appena fuori Firenze, tra questi i castelli di Poppiano, Montegufoni, Montagnana, Oliveto.
La Liberazione di Firenze è prossima ma è alla fine di eventi dolorosi, come le guerre, che accadono le peggiori brutalità.
Si tratta d'impedire che le opere d'arte vengano portate in Germania dai tedeschi in ritirata e di salvaguardarle dal passaggio del fronte. Neppure i soldati alleati sanno con che cosa hanno a che fare.
Il 19 luglio 1944 Poggi affida a Fasola, quasi sessantenne, che si offre volontario, l'incarico di raggiungere il castello di Montegufoni, 25 chilometri da Firenze, per sottrarre alle razzie tedesche le opere lì ricoverate e gli consegna una lettera per Guido Masti, custode del castello, in cui scrive “il professor Fasola è incaricato di dirigere il ritiro delle opere d'arte depositate in codesta villa e che dovranno essere riportate a Firenze” e chiede a Masti di fornire la massima collaborazione.
I tedeschi hanno promesso cinque camion per l'indomani per riportare le opere a Firenze. Ma il 20 luglio, i camion non arrivano e così Fasola, in piena emergenza e con il fronte in avvicinamento, da solo, parte alle 12 per Montegufoni. Prende un tram che lo porta fino al Galluzzo e poi, a piedi, raggiunge Cerbaia.
Sempre a piedi, raggiunge la prima tappa del suo viaggio: Villa Bossi Pucci a Montagnana, il primo deposito di opere d'arte. Qui non c'è nessuno, la villa è completamente vuota, in confusione e allagata di vino, ne sono stati versati 400 quintali.
I tedeschi, paracadutisti, hanno fracassato e portato via tutto, hanno preso decine di dipinti, sculture e terracotte robbiane, tra cui opere di Michelangelo, Botticelli, Raffaello, il Pollaiolo. Hanno lasciato solo le opere più grandi tra cui il Crocifisso di Perugino.
Le opere sono ormai in viaggio verso il Nord, si fermano a Marano sul Panaro, alla Villa Taroni, dove, non essendoci spazio a sufficienza, sono sistemate anche all'aperto, sotto i porticati. Un'opera di Tiziano serve per decorare una sala illuminata da torce e candele e pronta per una festa a cui partecipano famiglie filonaziste del luogo.
Fasola riprende il cammino e, alle 18, arriva al castello di Montegufoni, di proprietà dell’inglese Sir George Sitwell, il secondo deposito di opere d'arte. Al castello, requisito dai tedeschi al nemico inglese Sitwell, Fasola trova il custode Guido Masti con la famiglia.
Nonostante la devastazione, causata dall'occupazione tedesca, la situazione non è come quella di Montagnana, grazie alla famiglia Masti e al parroco.
A Montegufoni sono ricoverate 272 opere d'arte, tra queste la Primavera di Botticelli, dipinti di Masaccio, Giotto, Cimabue, Paolo Uccello e il tondo Adorazione dei Magi del Ghirlandaio, usato dai tedeschi come tavolo. Fasola sorveglia a vista le opere, perché i tedeschi non si sono ancora ritirati: “chiudere, accostare, sprangare, passeggiare come un custode in galleria, sono tra le mie maggiori occupazioni”.
Il giorno dopo riprende la missione e si reca a Poppiano, scendendo a valle per tre chilometri fra i borri. La meta è il castello dei conti Guicciardini, il terzo deposito. La situazione è in ordine, grazie a Olga Furst, istitutrice dei Guicciardini.
Il fronte si avvicina e il 24 luglio Montegufoni è al centro della battaglia. I tedeschi si ritirano ma il rischio che distruggano o portino via le opere d'arte è enorme. Cesare Fasola, sorveglia che ciò non avvenga, evitando il peggio fino all'arrivo degli Alleati, il 27 luglio 1944.
Ma chi sono questi Alleati? “Compaiono in tre, armati di tre mitragliatori: sono neozelandesi! C'è un breve silenzio, durante il quale ci osservano, domandano se c'è i tedeschi. Poi la nostra tensione si spezza: dietro a me da questi vecchi, donne e bambini scoppia spontaneamente un applauso; le facce dei tre soldati, prima sorpresi, si schiariscono in una lunga risata e ci si sente liberati”. Arrivano anche i partigiani, guidati da “Vescovo”, un vecchio socialista, e poi la popolazione. Al castello ora sono in 500.
È tempo di controllare e riordinare le opere d'arte per riportarle in città, in mezzo c'è ancora una battaglia e sotto un terribile bombardamento, come quello del 30 luglio 1944, “uno spettacolo apocalittico: siamo al centro di una corona di fuoco”.
Il 1° agosto arriva a Montegufoni il tenente Frederick Hartt, incaricato della tutela del patrimonio artistico italiano. Hartt fa parte dell'American Commission for the Protection and Salvage of Artistic and Historic Monuments in Europe, la Roberts Commission, i “Monuments Men”, gruppo scelto di storici dell'arte, direttori di musei, architetti e archeologi inglesi e americani, che i commilitoni chiamano "Venus fixers", "gli aggiustaveneri". Il tenente Hartt si muove per la Toscana su una jeep, la Lucky 13.
L'11 agosto arriva la notizia della liberazione di Firenze.
Fasola, senza il permesso degli Alleati, parte per la città il 14. Torna a piedi e arriva a mezzogiorno in piazza Pitti, trovando il Soprintendente Poggi “invecchiato di 10 anni. La rovina è immensa”. Rimane a Pitti per una settimana.
L'Arno, in secca, è transitabile sulla pescaia di San Niccolò ma è pericoloso e sotto il tiro delle mitragliatrici dei tedeschi.
Il 18 agosto i quartieri di Rifredi e Campo di Marte sono finalmente liberi, alcuni dicono che siano libere anche Fiesole e San Domenico. Fasola vuole tornare a casa e così si rimette in marcia ma, all'incrocio tra via delle Forbici e via della Piazzuola, s'imbatte in un gruppo di partigiani che, tornati dalla strada per San Domenico, lo avvertono che non si può passare, i tedeschi sbarrano la strada.
Fasola si ferma a Villa Il Treppiede, ospitato dai frati missionari, siamo a metà strada tra Firenze e Fiesole, come inciso sul muro della villa "A matre et filia aeque disto". S. Domenico è ancora irraggiungibile.
Il 1° settembre 1944 Fiesole è finalmente libera, i tedeschi l'hanno abbandonata. Fasola si unisce ai partigiani per raggiungere la moglie Giusta. Ma la strada è ancora piena di trappole, come le mine, lasciate dai tedeschi alle porte e ai cancelli, che mietono decine di vittime, tra cui Pacifico, giovane novizio francescano che fa da guida ai partigiani. Ha osservato per giorni i tedeschi, ha visto bene dove le collocavano ma una, lungo la via Vecchia Fiesolana, gli è sfuggita e gli è fatale.
Fasola è Assessore all'assistenza sociale e all'igiene nella Giunta straordinaria del Comitato di Liberazione Nazionale di Fiesole nel settembre 1944.
Nel 1945 pubblica il libro “Le Gallerie di Firenze e la guerra. Storia e cronaca”, la memoria di quei giorni.
Un album fotografico della città di Fiesole lo ritrae mentre nel 1945, al Teatro romano, consegna la Medaglia di bronzo per meriti di guerra a “Gostino”, il partigiano Agostino Brilli, comandante della 1° compagnia della Lanciotto nei giorni della liberazione di Firenze.
Il 5 ottobre 1947 riceve la Medaglia di bronzo al valor civile per la sua attività a difesa delle opere d'arte durante la guerra. Il 24 marzo 1946 è eletto consigliere comunale di Fiesole nella lista del Blocco democratico della ricostruzione, formato da azionisti, socialisti e comunisti, poi aderisce al Partito socialista.Il 4 aprile 1950 gli è concessa la Croce al Merito di guerra per l'attività di partigiano combattente. È assessore ai lavori pubblici nel Comune di Fiesole dal 1951 al 1956 e iscritto all'ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
Muore a Bagno a Ripoli il 14 novembre 1963.
Il fondo archivistico di Cesare Fasola è conservato presso l’Archivio dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell'età contemporanea.
- "Diario di guerra di Cesare Fasola da Montegufoni", in Alessia Cecconi, "Resistere per l'arte. Guerra e patrimonio artistico in Toscana", Edizioni Medicea, 2015, pp. 209-240
- Alessia Cecconi, "Resistere per l'arte. Guerra e patrimonio artistico in Toscana", Edizioni Medicea, 2015
- Cesare Fasola, "Le Gallerie di Firenze e la guerra. Storia e cronaca", Monsalvato, 1945
- Carlo Francovich, "La Resistenza a Firenze", La Nuova Italia, 1975, p 317-318
- Andrea Pestelli, “La Primavera del Botticelli nel castello di Montegufoni durante la guerra (1942-1945)”, 2017
- Id., "Montespertoli '44", NTE, 2012
- "Con occhi di bambina, dolore e speranza nei giorni della Liberazione di Fiesole", a cura di Maria Venturi, Libri Liberi, 2013
Il funzionario delle gallerie fiorentine e i tedeschi
Memorie di Cesare Fasola, partigiano e nel Comando della Divisione Giustizia e Libertà di Firenze e funzionario della Soprintendenza alle Gallerie per le province di Firenze, Arezzo e Pistoia.
Il Castello di Montegufoni è stata una delle sedi, individuate dalla Soprintendenza, per depositare le opere d’arte di musei, chiese e collezioni private fiorentine e salvaguardarle dal pericolo dei bombardamenti.
Dal diario di Cesare Fasola conservato presso l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell'età contemporanea.
Castello di Montegufoni, martedì 25 luglio 1944
Notte burrascosa. Verso le 3 mi decido a scendere nelle cantine, sulla paglia. Viene colpita da schegge la camera del comandante. Torno a buttarmi sul letto e verso le 8 il Masti mi chiama preoccupato perchè è arrivato un camion e dei tedeschi stanno girando per le sale.
Sono, poi, nuovi ufficiali arrivati, li precedo e fo il solito giro di propaganda. C'è un prof di matematica, 2 o 3 parlottano il francese. Il comandante torna sul suo assegnamento che questi quadri finiranno in America.
Gli pongo il dilemma: Vinceremo? Come siete sicuri certamente di vincere, e allora a che condizioni di pace stabiliranno il possesso dei quadri. Perderemo? Allora inutile portarli al Nord – è il suo chiodo -, perchè dovunque saranno, potranno imporre il diritto di vincitori.
Ma io ritengo che gli americani non vorranno macchiarsi di questa spogliazione, perché sarebbe un togliere all'Italia, la sua migliore e, quasi unica, candida veste.
Mi risponde che lui conosce bene gli americani dalla Sicilia in qua; che portano via tutto oggetti d'arte, ecc.
Vorrei domandargli come ha fatto a vederli in questi atti se lui camminava verso il nord prima di loro; con l'occhio del culo?
Al Castello di Montegufoni arrivano notizie catastrofiche da Firenze
Memorie di Cesare Fasola, partigiano e nel Comando della Divisione Giustizia e Libertà di Firenze e funzionario della Soprintendenza alle Gallerie per le province di Firenze, Arezzo e Pistoia.
Il Castello di Montegufoni è stata una delle sedi, individuate dalla Soprintendenza, per depositare le opere d’arte di musei, chiese e collezioni private fiorentine e salvaguardarle dal pericolo dei bombardamenti.
Dal diario di Cesare Fasola conservato presso l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell'età contemporanea.
Castello di Montegufoni, domenica 6 agosto 1944
Continuano in giornata a giungere notizie catastrofiche sulla situazione in Firenze; nel pomeriggio torna in visita il maggiore (anche con occhiali e frustino); mi racconta che ha dormito l'altra notte a Pitti dove ha parlato con Venè. È venuto via da Firenze ieri mattina alle 12. Si combatteva sulle due sponde dell'Arno; danneggiate le vie che convergono sui ponti (Serragli, Via Maggio); via Por Santa Maria, tutti i ponti eccetto il Ponte Vecchio distrutti, anche l'edificio degli Uffizi deve aver sofferto; Via dei Bardi, Santo Stefano. Impossibile quindi recarmi a Firenze. Il tenente Hartt porterà poi la notizia che gli Alleati hanno passato l'Arno a sud di Settignano.
Temo di averti lasciata in una situazione difficile; ho fatto bene? Dio ci assista tutti, perché nei nostri cuori sono pure le intenzioni. So che tu approvi la mia condotta, come io approvo la tua, qualunque decisione tu possa aver preso. Ti leggo nell'anima. Tuttavia, forse avrei dovuto prevedere meglio che tu potessi aver bisogno del mio povero aiuto. Puoi immaginare come desidero di rincontrarti, di ritrovarti alla nostra casina, che i nostri cari avranno protetto, spero. E, appena sarà possibile, verrò. Già l'ho detto al presidente della Commissione, che mi ha promesso un lasciapassare: sembra che le difficoltà per circolare siano assai maggiori ora. Dicono che i fascisti a Firenze hanno fatto i franchi tiratori, tanto per aumentarne la vulnerabilità. E la “città aperta”?