La fabbrica durante lo sciopero, gli uomini che non ritornarono
Lo sciopero del marzo 1944
Alla Fonderia del Pignone, dopo l'8 settembre 1943, si costituisce il comitato di agitazione clandestino del PCI.
Ne fanno parte Otello Bandini, Alfiero Biagiotti, Tiberio Ciampi, Gino Lulli, Galliano Melani, Nello Secci e Paolo Tincolini. Il Comitato è diretto dal Comitato Settore Industriale (CSI) del PCI, che coordina tutte le azioni politiche di Resistenza delle fabbriche fiorentine.
Le azioni consistono nella diffusione della stampa clandestina, come i giornali “L'azione comunista” e “L'Unità”, nel rallentare la produzione ormai in mani tedesche, nel creare alleanze con le altre forze antifasciste presenti in fabbrica, nel migliorare la condizione dei lavoratori.
La IV Sezione della fabbrica organizza una protesta contro il mancato impegno sulle paghe orarie assunto dopo il 25 luglio 1943. La direzione è costretta a rivedere le sue decisioni. Questo risultato spinge il CSI, guidato da Mario Fabiani, futuro Sindaco di Firenze, a considerare la Pignone abbastanza forte e unita per una manifestazione più imponente.
Si decide dunque di scioperare il 27 gennaio 1944. Nell'intervallo, alla mensa, gli operai cominciano a battere sui tavoli i piatti di alluminio, gridando “Pane! Pane”.
Sia i dirigenti che il prefetto Raffaele Manganiello, avvisato dello sciopero dai repubblichini, tentano di fermare la protesta ma senza alcun esito fino a che l’accordo non viene raggiunto. Si accorda un supplemento di tessera per il pane e un aumento della paga.
Viene raggiunto però anche un altro obiettivo: la dimostrazione che gli operai sono uniti e sono forti.
Inizia il lavoro di preparazione allo sciopero generale sotto l'egida del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN) e la guida di Otello Bandini, responsabile politico di fabbrica che lavora al reparto meccanici della V Sezione, insieme a Luigi Leporatti, deportato poi a Mauthausen e sopravvissuto.
Lo sciopero è deciso per venerdì 3 marzo 1944 alle ore 13.
La data è decisa dal CSI in una riunione clandestina che si tiene in piazza della Croce al Trebbio nel retrobottega del laboratorio di strumenti musicali dell'anarchico Altero Squaglia, già operaio tornitore della Galileo.
A sostenere lo sciopero ci sono azioni di disturbo e sabotaggio, come la mancata uscita dei tram dai depositi con la distruzione dei binari, organizzate dai Gruppi di Azione Patriottica (GAP), che operano nei depositi di Monticelli, delle Cure e di via Aretina e che distruggono, nella sede dei sindacati fascisti, gli schedari dei lavoratori da trasferire in Germania.
L’azione è simultanea in tutta Italia, si tratta del più grande atto di disobbedienza civile in un paese occupato. I grandi scioperi patriottici, così li chiama Radio Londra. L’inizio è proclamato per le 13.
Gli operai al rientro dalla mensa non riprendono il lavoro e, compatti, chiedono l’aumento dei salari, dei generi razionati, degli assegni familiari.
Manganiello, nuovamente chiamato in fabbrica, ordina agli operai di uscire dai reparti e radunarsi nel piazzale davanti alla fabbrica, su cui sono puntate le mitragliatrici repubblichine e propone loro due alternative: tornare al lavoro o uscire dalla fabbrica passando davanti alle mitragliatrici.
Una parte degli operai esce, seguita poi dal resto. I repubblichini, vedendo la compattezza, non sparano e lo stesso Manganiello non dà l'ordine di aprire il fuoco.
Arriva presto la vendetta dei repubblichini che forniscono alle SS i nomi degli antifascisti della Pignone. In sette sono arrestati: Otello Bonardi, Dino Mangini, Ugo Bracci, Narciso Niccolai, Luigi Leporatti, Ottorino Taddei, Armando Cerchiai, che viene rilasciato perché invalido ad una mano e quindi inabile al lavoro.
Gli altri sei sono portati al carcere delle Murate e alle Scuole Leopoldine in piazza Santa Maria Novella, l’attuale Museo Novecento, poi alla Stazione di Santa Maria Novella
L'8 marzo 1944 338 toscani sono deportati e caricati sui treni piombati al binario 6. La loro destinazione è il campo di concentramento di Mauthausen, in Austria
Vi arrivano l'11 marzo 1944 con il trasporto numero 32. Dei 338, 328 sono arrestati a Firenze, Prato, Empoli e Montelupo e tra questi i sei operai della Pignone.
La direzione di fabbrica, oltre ad aver permesso ai nazisti di consultare gli schedari per ottenere gli indirizzi degli operai, invia ai deportati la lettera di licenziamento per “assenza ingiustificata”.
Arrivati a Mauthausen, fanno una quarantena di due settimane, poi alcuni rimangono nel campo principale mentre la maggioranza è distribuita nei sottocampi di Ebensee, Gusen, Hartheim, Linz I, Linz III.
Solo 64 sopravvivono. I superstiti muoiono pochi anni dopo la liberazione per le gravi conseguenze della prigionia.
Ad arrestare i politici sono soprattutto gli italiani della Guardia Nazionale Repubblicana, documentata anche la presenza di Carabinieri.
Bonardi, Mangini, Bracci e Niccolai non fanno ritorno. Leporatti e Taddei ritornano minati nel fisico e nell'animo dalla tragedia del lager.
Ottorino Taddei, sopravvissuto, testimonia della difficoltà di essere creduto. Racconta di quando dormì accanto ad un morto. Non disse niente, perchè glielo avrebbero fatto portare fuori dalla baracca e glielo avrebbero fatto sotterrare. Poi lo avrebbero fatto stare nudo, al gelo, su una panca tutta la notte. “Come si fa a credere ad un orrore simile?” Si chiede Taddei. È la condizione vissuta da chi è tornato dai campi, il peso e la difficoltà di raccontare l'indicibile e l'incredibile.
I quattro deportati
Narciso Niccolai nasce a Brozzi, frazione di Firenze, il 6 febbraio 1891
Il padre si chiama Vittorio e la madre Maria Palmerani.
Narciso è un operaio specializzato all’Officina Pignone, è socialista e sindacalista.
È sposato con Ape Alessandrini e ha un figlio, Renzo. Vivono a Firenze in via Bronzino 27.
Partecipa allo sciopero del 3 marzo 1944 dell’Officina del Pignone ed è arrestato dalla Guardia Nazionale Repubblicana il 4 marzo come uno degli organizzatori.
Portato per una breve detenzione al carcere delle Murate, è poi deportato a Mauthausen e classificato come Schutzhäftlinge, deportato per motivi di sicurezza.
Durante il viaggio uno dei deportati è ucciso mentre il treno è fermo alla stazione di Monzuno-Vado.
Arriva a Mauthausen la mattina dell'11 marzo 1944, il suo numero di matricola è il 57309. Da quel momento è quel numero. Trasferito al campo di concentramento di Gusen, con almeno altri 53 toscani, tra i quali tutti i compagni del Pignone, con l'eccezione di Ugo Bracci trasferito a Ebensee, svolge il lavoro di meccanico.
Liberato a Gusen il 5 maggio 1945, a 54 anni, dagli americani del 21° Battaglione di fanteria dell'11° Divisione corazzata, muore, dopo 23 giorni di riconquistata libertà, il 28 maggio 1945.
È sepolto nel cimitero militare italiano di Mauthausen.
Otello nasce a Signa, vicino Firenze, il 6 ottobre 1903. Il padre si chiama Attilio.
Lavora come operaio specializzato all'Officina del Pignone a Firenze dove forma la cellula aziendale clandestina comunista. È amico di Alfredo Mazzoni, coordinatore del Comitato Settore Industriale del Partito Comunista.
Partecipa all'Officina del Pignone agli scioperi del 3 marzo 1944 e viene arrestato dalla Guardia Nazionale Repubblicana il giorno dopo. Portato per una breve detenzione alle Scuole Leopoldine di Piazza Santa Maria Novella, è poi deportato a Mauthausen dove arriva la mattina dell'11 marzo 1944.
È immatricolato col numero 56975 e registrato come “Athos", è classificato Schutzhäftlinge, deportato per motivi di sicurezza. Il mestiere che dichiara è installatore.
Trasferito a Gusen il 26 marzo 1944, svolge il lavoro di meccanico e, spostato nuovamente a Mauthausen, muore il 21 marzo 1945 a 41 anni.
Dino nasce a Brozzi, frazione di Firenze, il 30 settembre 1907.
Il padre si chiama Graziano, la madre Elvira Bianchi. Dino si sposa con Maria Betti il 14 giugno 1943 ed è residente a Firenze. Lavora come operaio meccanico specializzato, caporeparto all'Officina del Pignone.
Partecipa allo sciopero del 3 marzo 1944. È arrestato dalla Guardia Nazionale Repubblicana nella sua abitazione, dove lascia la moglie Maria, incinta, e un figlio, Leo, nato il 12 novembre 1943.
A Mauthausen è immatricolato col numero 57238 e classificato come Schutzhäftlinge, deportato per motivi di sicurezza.
Trasferito a Gusen dove svolge il lavoro di meccanico.
Qui muore per dissenteria il 25 marzo 1945, a 37 anni, nel blocco degli invalidi.
Ugo nasce a Firenze il 24 gennaio 1897. Il padre si chiama Ottavio e la madre Faustina Vannini. Ugo è figlio di contadini che all'inizio del Novecento abitano all'angolo tra via di Novoli e via Forlanini, sotto l'argine del fiume Terzolle. Ha tre fratelli e una sorella. Il fratello Virgilio, nato nel 1892, muore nella Grande Guerra.
Ugo, il primo della famiglia ad andare a lavorare in fabbrica, alla Pignone, dove diventa operaio specializzato, forse caposquadra ed è spesso lontano da Firenze per motivi di lavoro.
Si sposa con Ada Fallerini e si trasferiscono in una casa colonica in via di Novoli, all’altezza dell’attuale Parco di San Donato.
Partecipa agli scioperi del 3 marzo 1944 ed è arrestato, lo stesso giorno, nella sua abitazione dalla Guardia Nazionale Repubblicana.
Lascia la moglie Ada e il figlio Mauro di 12 anni, che diventerà poi operaio alla Pignone e nel marzo 1953 sarà tra i sospesi dal lavoro in seguito alle trattative sindacali.
Detenuto brevemente presso le Scuole Leopoldine in piazza Santa Maria Novella, è poi deportato al campo di concentramento di Mauthausen dove viene immatricolato col numero 56984 e registrato anche come “Giuseppe”.
È classificato Schutzhäftlinge, deportato per motivi di sicurezza, e dichiara di lavorare come meccanico e viene trasferito, unico tra i suoi compagni, a Ebensee uno dei sottocampi del lager di Mauthausen.
Qui muore il 4 aprile 1944, a 47 anni: è il primo toscano a morire nel lager insieme all'empolese Otello Bini.
Muore per un'infezione alla gamba provocata da una ferita non curata. Secondo alcuni compagni di deportazione si ferì durante il trasporto sui vagoni piombati, secondo invece un articolo di giornale del 1953, fu involontariamente ferito dalla targhetta di riconoscimento del compagno di cuccetta, quando già si trovava al campo, perché dormivano due a due, con testa e piedi invertiti.
A Ebensee muoiono 144 deportati toscani del trasporto numero 32 di cui 19 fiorentini. Solo 36 toscani sono liberati, di questi 5 sono fiorentini.
- Camilla Brunelli, “La deportazione politica a Firenze e in Toscana”, in “Firenze in guerra 1940-1944. Catalogo della mostra storico-documentaria (Palazzo Medici Riccardi, ottobre 2014-gennaio 2015)”, a cura di Francesca Cavarocchi e Valeria Galimi, Firenze University Press, 2014, pp. 81-87
- Alfredo Mazzoni, in “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza 1943-1944”, Istituto Gramsci Toscano, 1984, pp. 221-244
- Id., “La Resistenza nelle fabbriche fiorentine. Ricordi del periodo clandestino” in “È il 1 maggio aprite! 1893-1948 la Camera del Lavoro di Firenze dalla fondazione alla ricostruzione”, Officine Grafiche Firenze, 1983, pp. 57-72
- “La speranza tradita. Antologia della deportazione politica toscana 1943/1945”, Pacini, 2003, p. 215
27 gennaio 1944, prova generale dello sciopero del marzo 1944 alla fonderia del Pignone
Memorie di Alfredo Mazzoni, partigiano e membro dell’organizzazione clandestina del PCI, coordinatore del Comitato Settore Industriale del Partito Comunista, a capo del quale c'è Mario Fabiani, primo Sindaco di Firenze eletto dopo la guerra
Fabiani lanciò l'idea di attuare uno sciopero in misura ridotta alla Pignone come prova generale. “Perchè non la fai fare alla Galileo questa prova?” gli chiese Nello Secci della Pignone.
Allora Fabiani, ricordandogli la manifestazione di protesta, riuscitissima, partita dal gruppo calderai ed estesa a tutta la fabbrica per i mancati impegni assunti dalla Direzione dopo il 25 luglio, in seguito alla quale l'azienda dovette cedere, lo convinse che lì vi erano le condizioni più favorevoli per fare la prova generale e Secci, da quel bravo compagno che era, si pose all'opera, insieme ad altri compagni del Comitato aziendale. I fatti dettero ragione a Fabiani perchè il 27 gennaio 1944 alla mensa, durante l'ora d'intervallo, simultaneamente si scatenò un clamore assordante di piatti di alluminio battuti sui tavoli, accompagnato da grida: “Vogliamo più pane! Più paga!”. Intervennero alcuni dirigenti cercando di sedare il tumulto ma senza riuscirvi. Chiamato dai repubblichini, intervenne lo stesso capo della Provincia Manganiello, ma, ormai scatenati, gli operai continuavano a gridare: “Pane! Pane!” fino a che venne loro assicurato un supplemento di pane e la revisione delle paghe.
Il Comitato del Settore Industriale, riunitosi dopo questo primo successo, ebbe solo una considerazione da fare: “La massa risponde se ben condotta!”
Lettura tratta dal libro “I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza (1943/1944)” pubblicato dall’Istituto Gramsci Toscano nel 1984
Gli operai della Pignone rispondono come un sol'uomo
Gli scioperi del marzo 1944
Fin dai primi del mese scorso, cioè da quando la Direzione rispose coll'intervento delle autorità fasciste e colle minacce alle giuste richieste degli operai, fra tutte le maestranze e gli impiegati era vivamente sentita la necessità di riprendere la lotta. Giuste le direttive ricevute dal Comitato di agitazione della nostra città il giorno 3 alle ore 13 tutti gli operai e gli impiegati non ripresero il lavoro per le seguenti rivendicazioni:
aumento dei salari, aumento dei generi razionati, aumento degli assegni familiari, immediata riforma della cassa mutua, indennità di L. 450.
L'adesione fu totale e quindi un vero successo dal punto di vista della solidarietà.
La direzione richiese subito l'intervento dei fascisti piuttosto che trattare con gli operai. Appena giunto il capo della provincia e chiesto quali fossero le ragioni della fermata, una voce gli gridò: “Sono contenute nel manifestino!”
Allora gli operai furono messi nell'alternativa: o riprendere il lavoro o abbandonare lo stabilimento e tutto questo sotto la minaccia dei fucili mitragliatori. Ciò malgrado gli operai non ebbero un attimo d'esitazione: nessuno riprese il lavoro. La Direzione non si aspettava tanta fermezza.
Durante la notte una decina di operai, ritenuti gli organizzatori, furono arrestati. Il giorno dopo continuò l'astensione, solo il lunedì il lavoro riprese quasi al normale. Tutti gli operai sono ancora decisi nella via della lotta per i propri diritti. Evviva lo sciopero!
Lettura tratta dall’articolo pubblicato sul foglio clandestino “L'Azione comunista” del 15 marzo 1944
Intervista ad Alfredo Mazzoni
Alfredo Mazzoni dal dicembre 1943 era il coordinatore del Comitato Settore industriale del PCI fino agli scioperi del 3 marzo 1944.
Provenienza: Archivio storico FLOG, Fondazione Lavoratori Officine Galileo n. 115, 11 marzo 1981
Si continuò a fare questo lavoro di sabotaggio e anche un lavoro politico che doveva sfociare poi negli scioperi perchè nell'Alta Italia erano già avvenuti gli scioperi nel marzo del '43 e quindi si preparava anche noi gli scioperi che poi sfociarono nel 3 marzo del '44. Io facevo parte e del Comitato cittadino, che dirigeva Mario Fabiani, e dal Comitato cittadino poi sorse un Comitato del Settore Industriale, cioè della parte di Rifredi, che comprendeva tutte le fabbriche Pignone, Galileo, c'era la Muzzi, la Manetti Roberts, la Superpila, tutte le fabbriche di qui e avevamo contatti, collegamenti, era un'organizzazione molto importante. E arrivammo a organizzare e a far riuscire lo sciopero del 3 marzo 1944. Fu fatta un'azione di gap in preparazione ai depositi dei tranvai e poi naturalmente ci furono le rappresaglie, vennero i tedeschi alla Manifattura dei Tabacchi, in Galileo, alla Pignone con le mitragliatrici. Alla Pignone le mitragliatrici piazzate nei viali con l'ultimatum o tornate a lavorare o andate fuori, per andar fuori bisognava che passassero sotto le mitragliatrici e c'è la punta di diamante dei compagni già agguerriti, già decisi a tutto che cominciarono a passare e tutta la massa gli andò dietro e anche lì non ebbero il coraggio di sparare.