La storia di una famiglia ebrea e antifascista
Benvenuto e Aurelia hanno hanno 8 figli: Sara (1916), Lea (1919), Rossana (1921), Enzo (1922), Sauro (1923), Cesare (1925), Dante (1926) e Velleda (1929). Benvenuto appartiene ad una famiglia di ebrei sefarditi. È una famiglia del ceto medio, i genitori sono commercianti, hanno un laboratorio di biancheria per signora e da casa. È una famiglia antifascista, già prima dell'introduzione delle leggi razziali del 1938. L'insegnamento del padre e la saggezza della madre guidano i figli verso una coscienza democratica, i principi di onestà e rettitudine vengono prima di ogni cosa.
Le leggi razziali del 1938 privano Benvenuto e Aurelia del loro laboratorio e del loro commercio, Sara, la primogenita, emigra a Cremona.
Dopo l'8 settembre 1943 tutti i fratelli e sorelle Valobra entrano attivamente nella Resistenza.
I fratelli sono partigiani, Cesare e Dante della Brigata Garibaldi Lanciotto, Sauro e Enzo della Brigata Garibaldi Caiani, le sorelle Lea e Rossana della Squadra staffette della Divisione Giustizia e Libertà, anche la piccola Velleda è impegnata in piccole azioni.
Dall'ottobre 1943 Benvenuto e Aurelia, con le figlie, sono nascosti insieme ad un'altra famiglia ebrea, i Volterra e gli Ascoli nella Villa Ricci Marchi di via delle Forbici 5. In seguito per nascondersi cambieranno diversi domicili. Dante Valobra, il più giovane dei fratelli, muore nella battaglia di Cetica il 29 giugno 1944.
Il 30 novembre 2010 i Valobra hanno ricevuto dal Comune di Firenze il Giglio della Liberazione.
Enzo Valobra nasce a Firenze il 22 agosto 1922, il 27 marzo 1926 nasce Dante.
Grazie ai genitori individuano le ingiustizie del regime fascista e decidono di imbracciare le armi con i fratelli Papini loro amici e correligionari. La famiglia Valobra è in contatto con Tristano Codignola, esponente di primo piano del Partito d'Azione fiorentino, dove milita anche la loro figlia Lea, che, dopo la guerra, continuerà a essere sua collaboratrice presso la casa editrice La Nuova Italia, che Codignola guida insieme a Enzo Enriques Agnoletti. La sede della casa editrice è dal 1935 in piazza Indipendenza.
Enzo, col fratello Sauro, partecipa all'attacco partigiano del 6 marzo 1944 alla Casa del fascio di Vicchio di Mugello con la Brigata Checcucci al comando di Bruno Bernini “Brunetto”.
Sono i giorni degli scioperi nelle fabbriche.
Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN), fa pressioni perché si svolgano questi attacchi per allentare la morsa dei fascisti e dei tedeschi su Firenze. È un'azione importante, perché ingrossa le file dei partigiani e la popolazione si lega sempre più alla Resistenza rischiando però rappresaglie.
Poche settimane dopo avviene la fucilazione di cinque giovani davanti allo stadio Campo di Marte, arrestati e condannati a morte perchè renitenti alla leva. L'attacco alla Casa del fascio di Vicchio è fissato per le 21.05 con l'obiettivo di recuperare armi e dimostrare la forza partigiana.
La caserma dei Carabinieri è assaltata dai partigiani al comando di Fernando Gattini “Lupo”, con il commissario politico Sirio Ungherelli “Gianni”.
Altri partigiani attaccano la ferrovia. Enzo Valobra e il fratello Sauro sono con la Brigata Checcucci ad attaccare il comando della quarta compagnia della Guardia Nazionale Repubblicana e la scuola, dove si nascondono alcuni fascisti. La Checcucci compie l'azione con circa trentacinque uomini.
Il giorno dopo l'attacco arriva a Vicchio un intero battaglione di guardie repubblicane fasciste. Siamo ormai a fine giugno 1944, la liberazione di Firenze si avvicina.
Dante, ogni tanto, torna a Firenze per rifornirsi di abiti e biancheria e per fare da collegamento tra la città e le formazioni partigiane. Per questo motivo va nella casa dove vivono nascosti i genitori e le sorelle.
Il luogo è Villa Ricci Marchi in via delle Forbici 5. Maria Marchi, vedova del prof. Aldo Ricci, linguista e direttore della scuola d'inglese dell'Istituto britannico di Firenze, è in contatto con il Partito d'Azione, offre la sua villa come rifugio ai Valobra, ai Volterra, agli Ascoli e come base d'appoggio alla Resistenza. Nella villa c'è un deposito d'armi e si ritrovano, clandestinamente, membri del Partito d'Azione.
Il pomeriggio del 12 febbraio 1944 Dante, sceso da Gattaia a Firenze per un incarico datogli dalla formazione partigiana, è arrestato dalla Banda Carità, il Reparto dei Servizi Speciali comandato da Mario Carità, al bar Giubbolini nel viale dei Mille. La banda lo identifica grazie a Franco Bagiardi, amico di Dante, arrestato poche ore prima e costretto a riconoscerlo sotto la minaccia delle armi. In tasca ha un biglietto con su scritto “Valobra” e la polizia fascista non si fa certo sfuggire l'occasione per mettere le mani sui quattro fratelli partigiani.
Dante e Franco, portati a Villa Triste in via Bolognese, sede della polizia politica nazista e del comando della Banda Carità, sono interrogati e picchiati.
Si accaniscono su Dante, vogliono notizie sui fratelli e sulle formazioni partigiane. Ma il giovane Valobra resiste, indica solo via delle Forbici, come residenza della madre.
In via delle Forbici la notizia dell'arresto di Dante è arrivata, grazie ad una conoscente che ha visto l'accaduto, ma nessuno dei rifugiati scappa.
Verso le 23 gli uomini di Carità, i famigerati “quattro Santi”, insieme ad un sottufficiale tedesco, circondano Villa Ricci Marchi, irrompono in casa e arrestano gli uomini: Benvenuto Valobra, i fratelli Volterra, Pier Nicola Ricci, figlio di Aldo e Maria Ricci Marchi, renitente alla leva della Repubblica Sociale.
Dante è rilasciato e torna alla villa la notte del 13 febbraio, con lividi, graffi ed un orecchio con il lobo in parte staccato. L'obiettivo della Banda Carità sono i fratelli Valobra e tutta l'organizzazione e probabilmente la liberazione di Dante aveva lo scopo di seguirne le tracce per arrivare proprio ai fratelli.
È probabile l'intercessione del cardinale Elia Dalla Costa almeno per la liberazione di Benvenuto, perché Aurelia Taglietti, il 14 febbraio, si reca in Arcivescovado a chiederla.
I Volterra, che si autodenunciano ebrei per non essere scambiati per partigiani, sono deportati ad Auschwitz e uccisi all'arrivo.
Dante, libero, ritorna in montagna per proseguire l'attività partigiana. Sul Monte Giovi, dove nel maggio 1944 si costituisce la 22° Brigata Lanciotto, una delle quattro brigate che formeranno il 7 luglio 1944 la Divisione Arno, Aligi Barducci "Potente" comanda la Brigata e poi l'intera Divisione.
L’obiettivo è liberare Firenze.
Dal Monte Giovi la Lanciotto si sposta in un luogo esteso ma difendibile, è il Pratomagno, in Casentino.
Sul Monte Giovi rimangono pochi gruppi sparsi, il più numeroso dei quali è al Cerro.
Il 29 giugno 1944 è il giorno della battaglia di Cetica, piccolo paese del comune di Castel San Niccolò, alle pendici del Pratomagno. L'area di Cetica e Montemignaio è investita dal rastrellamento tedesco dei soldati del reggimento Brandenburg, accompagnati da italiani, tra questi, soldati travestiti da partigiani col fazzoletto rosso al collo che conoscono benissimo le posizioni partigiane.
“Potente” è alla guida della Brigata. I tedeschi si fanno scudo dei civili, così i partigiani sono costretti a sparare a raffiche irregolari per non colpirli. Cercano fino all'ultimo di difendere il paese e il mulino, che fino a quel momento ha consentito di fare il pane e sfamare il paese.
La battaglia lascia Cetica in fiamme, i magazzini distrutti dai mortai, tredici civili, tra cui un ragazzo, e dodici partigiani uccisi tra cui il capo squadra Luigi Fratti “Gamba di ferro” e il vice capo squadra Angelo Biancalani “Mortaio”. Dante è tra i caduti, sta tornando da una missione, intuisce che la sua compagnia è impegnata in un aspro combattimento, fa di tutto per tornare dal suo comandante ma è sorpreso da un tedesco, appostato dietro un cespuglio. Non fa in tempo a difendersi, muore. Ha da poco compiuto 18 anni.
Enzo in un suo diario racconta nel dettaglio la battaglia di Cetica del 29 giugno e della morte del più giovane dei fratelli, Dante.
I passi tra virgolette sono parte di quel diario dove sono espresse anche sensazioni ed emozioni.
Da giorni ci sono movimenti e continui cannoneggiamenti tedeschi sulle posizioni partigiane tanto che i partigiani stanno all'erta e “ventre a terra”.
Per questa ragione il Comando di Divisione decide lo spostamento della I Compagnia e del plotone di Comando verso il Pratomagno. Ci si aspetta un colpo definitivo da parte dei tedeschi.
Cesare rimane con altri partigiani a Santa Maria a Cetica, Enzo e Dante invece devono seguire il Comando e il distaccamento prescelto.
Sono 35/40 uomini in marcia. Enzo ha i documenti della Brigata e il compito di proteggerli fino alla morte.
Arrivano a destinazione di notte dopo un lungo cammino. Alloggiano in due capanne, una di fronte all'altra. Nella più grande va il distaccamento, nella più piccola il comandante “Brunetto”, il commissario “Moro”, “Ancilla”, Dante e Enzo.
Verso le 23 una staffetta li avverte che l'indomani riceveranno la visita del Comando di divisione e di qualche membro del Comitato di Liberazione Nazionale di Firenze.
“Con molta gioia ci mettiamo a fare bella la nostra dimora”. Puliscono la capanna, attaccano dei manifesti del fronte clandestino, sistemano un tavolo. Finiscono intorno alle due e si sistemano sui giacigli di paglia. “Spegniamo il pezzetto di candela che custodivamo gelosamente e ci assopiamo”.
Enzo e Dante sono uno accanto all'altro. Ma un colpo di moschetto li sveglia.
Allarme. Ordini perentori: “Fuori dalle capanne! Prendete tutto! Ancilla, Enzo prendete i documenti! Coloro che non sono sufficientemente armati, facciano loro da scorta. Il resto degli uomini dietro di me”.
È "Brunetto" che parla.
Fanno appena in tempo a scappare, perché le capanne sono subito circondate. Enzo ha i documenti e il cannocchiale, l'ha visto sul tavolo, l'ha preso e se l'è messo a tracolla.
Saluta tutti con lo sguardo, deve raggiungere al più presto il Comando, avvertire dell'attacco e depositare i documenti.
A Cetica è già battaglia, le capanne sono in fiamme. All'improvviso vede Dante che gli corre dietro, "Brunetto" l'ha mandato a prendere il cannocchiale. Sono le 4 del mattino, è sudato, affannato, ha uno sguardo strano con gli occhi sbarrati. Forse è un presentimento?
Enzo vuole abbracciarlo e dirgli di restare con lui, di non tornare indietro “dove tutto è ferro e fuoco”.
I fratelli si guardano, Enzo si raccomanda di stare attento, perché oggi si fa sul serio. Dante è perplesso, ha uno sguardo perso come nel vuoto, forse dell'anima. È un attimo, si riprende, e al fratello dice, ridendo in modo scettico “Stai tranquillo!”
Enzo lo vede correre giù per il bosco, con la rivoltella in pugno e il cannocchiale a tracolla.
“Ho un ghiaccio nel cuore… Non riesco a muovermi”. È l'ultima volta che vede vivo il più giovane dei suoi fratelli. Enzo continua la sua missione e con una marcia forzata arriva su un costone il pomeriggio del 29 giugno.
La vista di Cetica è terribile, la vedono dall'alto e da lontano in fiamme, sentono il crepitio dei fucili Sten, il rumore cupo e fondo delle mitraglie tedesche. Non possono fare niente. Il terrore per la sorte di Dante aumenta. Le staffette portano notizie anche discordanti.
"Brunetto" resiste con i suoi uomini, ci sono molti morti. Enzo con l'angoscia nel cuore arriva con i compagni al comando, fanno le loro relazioni e mangiano un pezzetto di galletta con del formaggio.
Poi gli tocca un turno di pattuglia sul costone, dove trova Riccardo Gizdulich il "Capitano Bianchi", che gli indica Cetica: “Credo che tutto sia finito o per finire. Voglia Iddio che non si abbia avuto la peggio, già molti sono i morti laggiù. È una triste giornata di San Pietro e Paolo, questa.”
La paura e l'angoscia accompagnano Enzo, che cerca negli sguardi di chi torna dalla battaglia di capire che cosa è successo. Aspetta l'alba, vuole sapere dei suoi fratelli. Il commissario di Cesare gli dice che il fratello sta bene e che è sull'altro versante, e Dante? Nessuno lo sa oppure nessuno ha il cuore di dirgli la verità.
Raggiunge il fratello Cesare, che dorme in una capanna, stremato, con gli abiti sporchi e con vicino il suo Sten. Enzo è in lacrime, non osa svegliarlo.
Esce dalla capanna singhiozzante, si butta a terra, cercando nello sguardo dei compagni una rassicurazione. Ma i compagni non possono dargliela, perché Dante è morto. Solo uno dei compagni, con uno sguardo, gli fa capire che Dante non è più di questo mondo.
Allora Enzo disperato chiede di parlare con "Brunetto", lui è il comandante e gli deve delle spiegazioni.
Ma “povero Brunetto aveva pure lui le lacrime agli occhi!” e gli chiede di chiamare Cesare.
È il commissario politico “Moretto” a dare ai due fratelli la notizia della morte di Dante. Enzo è già preparato, Cesare urla di dolore, i due a terra si abbracciano.
“La visione di Dante, del nostro più piccolo fratello morto, non ci dava pace e pensavamo ai genitori e sorelle che ci attendevano trepidanti tutti insieme a casa. Egli ormai aveva raggiunto i fratelli Papini.”
Enzo, Cesare e Sauro continuano a combattere fino alla liberazione.
Nel 1948 Enzo sposa Piera Cassuto. Il loro matrimonio è celebrato nella Sinagoga di via Farini a Firenze. Abitano in via Puccinotti 80. Hanno due bambine, Patrizia e Daniela.
Enzo muore a soli 38 anni il 30 dicembre 1960.
Nel 2007 Sauro Valobra consegna alla nipote Patrizia la lettera in cui il fratello Enzo gli raccontava la morte di Dante con la preghiera di preparare i genitori e le sorelle a ricevere la funesta notizia. L'aveva conservata per oltre 60 anni senza rivelarla a nessuno. Il diario, questa lettera e altri scritti sono stati depositati in copia da Patrizia Valobra presso l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell'età contemporanea, dove sono consultabili.
Il 30 novembre 2010 Patrizia e la sorella Daniela ricevono per il padre Enzo il Giglio della Liberazione del Comune di Firenze. Patrizia Valobra conserva e porta avanti la memoria della sua famiglia, nell'aprile del 2022 è stata intervistata da Marco Mondini per la trasmissione di Rai Storia “Storie contemporanee” nella puntata “La Resistenza fiorentina”.
Il nome di Dante figura sulla lapide dei partigiani all'interno di Palazzo Vecchio, nella Cappella dei partigiani nel cimitero comunale di Rifredi, sulla lapide dedicata ai deportati e ai partigiani ebrei fiorentini nel giardino della Sinagoga e nel Sacrario dello stadio Franchi a Campo di Marte.
Le lapidi di questo sacrario furono messe dalla sezione ANPI “Fratelli Papini” di San Gervasio.
Il suo nome figura sul monumento a Cetica, in ricordo dei morti della battaglia.
Alla sua memoria è stata concessa la Stella garibaldina e dal Comune di Firenze, il 30 novembre 2010, il Giglio della Liberazione.
- Scheda di Dante Valobra in Alberto Alidori, "Liberare Firenze per liberare l'Italia. Chi erano i partigiani. Memorie 1943-1945", a cura di Luca Giannelli, Scramasax, 2022
- Marta Baiardi, "Persecuzioni antiebraiche a Firenze: razzie, arresti, delazioni" in a cura di Enzo Collotti, "Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI. Persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945)", vol.1, Carocci 2007
- Giovanni Frullini, "Firenze est per la libertà", Comune di Firenze, Consiglio di Quartiere 2, 1994
- Francesco Fusi, "Guerra e Resistenza nel fiorentino. La 22° brigata Garibaldi Lanciotto Ballerini", Viella, 2021
- Fernando Gattini, "Giorni da “Lupo”. Fascismo e Resistenza a Vicchio di Mugello tra l'estate '43 e l'estate '44", Comune di Vicchio, 1994
- Adam Smulevich, "Storie di Memoria, la saga dei Valobra", in "Toscana Ebraica", XXIV, marzo-giugno 2011
- Id., "Storie di Memoria, la saga dei Valobra", in "MOKED" 3 febbraio 2011
- Paolo Marini, "L'inverno mugellano degli Ebrei ribelli", in "Il Galletto. Il giornale del Mugello e della Valdisieve", 1006, 23 aprile 2011
- Gino ed Emirene Varlecchi, "Potente. Aligi Barducci, Comandante della Divisione Garibaldi “Arno”", Feltrinelli, 1975
Un ribelle non era il bandito della propaganda fascista
Memorie del partigiano Enzo Valobra sul fratello Dante, partigiano della Brigata Garibaldi Lanciotto morto durante la battaglia di Cetica, piccolo paese del comune di Castel San Niccolò alle pendici del Pratomagno, il 29 giugno 1944. Per gentile concessione di Patrizia Valobra
Quando cominciarono le prime leggi razziali, ed ancor prima, quando l'insegnamento paterno e la saggezza della mamma ci indicarono l'illecità del despota fascista, fremeva di sdegno ed ardeva dal desiderio di agire per quella Italia che amava più della vita e vedeva cadere giorno per giorno nel baratro del disonore e della vergogna!
Quando decidemmo di prendere le armi in seguito all'invasione teutonica Lui, il più giovane, non volle rimanere a casa e partì con noi, serio, grave, conscio del grave pericolo, del compito che lo attendeva.
Quando ponderavamo un po' troppo a lungo su di un'azione che avremmo dovuto svolgere il giorno di poi, Lui diceva immancabilmente che l'azione avrebbe avuto successo in quanto animata e svolta da ragazzi pronti a qualunque sacrificio, e se per caso, per ragioni di prudenza il Comandante desisteva dal farla, era contrariato e triste. Ed era generoso anche con i prigionieri, con i tedeschi! Ricordi in Pratomagno quando rimase quasi senza mangiare per darlo di nascosto a tutti quei prigionieri che languivano dalla fame? Ed auspicava per loro la libertà dopo averli intrattenuti per una buona mezz'ora in una oratoria in cui erano spiegati i nostri diritti e principi. Allora dimostrava con un triste sorriso sulle labbra che un ribelle, di razza ebraica per giunta, non era il bandito della propaganda fascista, l'assassino, il traditore della patria.
Lottava per una causa santa
Memorie del partigiano Enzo Valobra sul fratello Dante, partigiano della Brigata Garibaldi Lanciotto morto durante la battaglia di Cetica, piccolo paese del comune di Castel San Niccolò alle pendici del Pratomagno, il 29 giugno 1944. Per gentile concessione di Patrizia Valobra
Ora non è più! Non è rimasto di lui che ossa rotte, sporche della cruda terra e ciuffi di capelli, ricciuti sì, ma opachi e freddi. Non hanno più quel lucido e quel vivo che avevano un tempo, no, anch'essi hanno perduto con lui la loro bella particolarità. Solo gli abiti marciti e ancora chiazzati del suo sangue hanno potuto farmelo riconoscere! Questo è il nostro Piripicchio? Perchè? Perchè? Lottava per una causa santa. Lui! Non è possibile! No, no, non è vero! ...Eppure sì, Dante è morto. E solo pochi minuti prima lo avrò sotto ai miei occhi che già mani estranee lo ricompongono dentro la cassa. Il teschio è staccato dalla colonna vertebrale. Angiolino, il Commissario Politico, lo prende in mano, m'indica i fori d'entrata e di uscita delle molte pallottole che lo hanno colpito ed estrae con un temperino una pallottola rimasta nella mascella.
È l'ultimo ricordo che mi resterà di lui. Una pallottola nemica, una pallottola che il nemico, che mani tedesche hanno concepito, hanno usato per Lui! È maledizione della barbarie tedesca che mi resta nelle mani, mentre Lui, il mio Dantino lo rinchiudono in una cassa per seppellirlo nuovamente domani nella terra che “sola” lo accoglie nel suo eterno sonno.