Le brigate, la loro organizzazione e composizione politica e sociale, i fazzoletti, le canzoni e la vita in montagna
Il partigiano è di parte, spinge per il cambiamento, è lui stesso il cambiamento. La parte è quella della Resistenza al regime fascista e all’occupazione nazista. In parte le idee politiche le impararono dai vecchi antifascisti nelle brigate e nei gruppi di azione patriottica. Gli antifascisti avevano iniziato la “Resistenza lunga” subito dopo le prime spedizioni squadriste nel 1920. Alcuni giovani impararono a leggere e a studiare in carcere, in quella che fu definita “l'Università del carcere”, dove gli antifascisti più colti, imprigionati da anni, insegnavano ai meno istruiti.
L'antifascismo, incarcerato e confinato, fu la levatrice del nucleo più politicamente consapevole della Resistenza, ne cullò le idee, per farle sbocciare al momento opportuno e quel momento fu l'8 settembre 1943, una data spartiacque.
Alcuni partigiani sostengono di non aver fatto la Resistenza, ma è la Resistenza ad aver fatto loro, dimostrando la sua natura formativa. Il partigiano fu differente dal semplice soldato, perché creò qualcosa di nuovo, non eseguì e basta, imparò a pensare nell'ora politica in brigata insieme al commissario politico e imparò a usare le armi e i metodi della guerriglia insieme al comandante, confrontandosi ogni giorno con il rischio di morire.
A Firenze e provincia i partigiani si organizzarono in montagna fin dall'autunno 1943, prima in bande, poi in brigate, che in gran parte facevano riferimento al Partito Comunista e al Partito d'Azione. Alla “macchia” però erano rappresentate tutte le idee politiche: comunisti, socialisti, azionisti - riuniti nelle brigate di Giustizia e Libertà -, democristiani, liberali e anche monarchici.
In città, dal novembre 1943, operarono i partigiani comunisti dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), il più noto dei quali fu Bruno Fanciullacci, tra loro anche la partigiana Tosca Bucarelli, autrice del fallito attentato al caffè Paszkowski. Operarono anche le Squadre di Azione Patriottica (SAP) del Partito Comunista, le Squadre di Assalto di Giustizia e Libertà (SAS), le squadre dei socialisti, dei liberali, dei democristiani, i Gruppi di difesa della donna, il Fronte della Gioventù, tutti impegnati in sabotaggi, produzione di documenti falsi, diffusione della stampa clandestina, salvataggio di ebrei e prigionieri alleati.
Agirono con il fiato sul collo di delatori e spie. Fascisti e tedeschi li temevano così tanto che, in alcuni casi, arrivarono a sovrastimarne il numero.
Partigiane e partigiani rischiarono la vita, usando il nome di battaglia per non farsi identificare e proteggere le loro famiglie. Il nome sanciva l'ingresso nella Resistenza, come un battesimo. Nomi epici, che raccontano l'epoca, le origini sociali, gli interessi politici, il carattere, l'amore per una fidanzata, i sogni e anche i difetti fisici: Fuoco, Saturno, Sugo, Angela, Pillo, Giobbe, Lella, Garibardi, Rigore, Nembo, Fumo, Dinamite, Fulmine, Lampo, Monco, Dindon... Nel dopoguerra i partigiani e le partigiane si riconosceranno con quel nome, scritto sul fazzoletto, segno della brigata d'appartenenza.
Le Memorie di Resistenza fiorentina custodiscono i nomi di battaglia.
La parola "partigiani" è associata alla Biblioteca Villa Bandini.