I giovanissimi della Brigata Garibaldi Sinigaglia
Ennio nasce a Bagno a Ripoli il 10 maggio 1926.
Il padre si chiama Rolando ed è barista al Caffè Donnini in piazza della Repubblica, la madre Gina Giannini è casalinga. Ha un fratello, Giampaolo, nato nel 1930. I Carresi abitano in via Giovanni dalle Bande Nere 1 e sono fortemente antifascisti. Il fratello di mamma Gina è scappato nel 1921 a soli quindici anni, perché picchiato a sangue dai fascisti, tradito da un cugino. Torna in Italia solo nel 1946, dopo aver combattuto nel corso della guerra civile in Spagna, quindi in Francia e in Russia.
Ennio frequenta la scuola elementare Villani in viale Giannotti.
Giovanissimo, è commesso da Penna, un famoso negozio di stoffe e sete al Porcellino in piazza del Mercato nuovo, a due passi da piazza della Signoria. Ennio è molto bravo a dipingere, è un autodidatta e anche il fratello Giampaolo dipinge e scrive poesie.
Ennio, è affascinante e tutte le parrucchiere nel negozio sopra Penna fanno a gara per guardarlo dalla finestra quando arriva o va via.
Nell’autunno del 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre e l’occupazione nazifascista di Firenze, sostenuta dai fascisti, la sera dopo il lavoro di nascosto dai genitori, Ennio con i compagni d'infanzia Marcello Citano “Sugo” e Giulio Consigli, distribuisce volantini clandestini, scrive sui muri contro il regime e incontra i compagni più grandi che lo istruiscono alle idee antifasciste.
Ennio è deciso a darsi alla clandestinità, è antifascista, non può e non vuole rispondere ai bandi di reclutamento della Repubblica Sociale, il nuovo governo collaborazionista fascista.
Il padre cerca di convincerlo a non partire “via… si guarda… si trova”. Ma Ennio è risoluto “Se anche il mio babbo e la mia mamma non vogliono. A me non m'importa. Io salto dalla finestra. Io voglio morire con onore.”
La decisione ormai è presa. Ennio non ci ripensa e una mattina, con tutta probabilità intorno al 10 giugno 1944, parte da piazza Gavinana con altri ragazzi della zona, fra loro anche figure storiche dell'antifascismo come Gino Pallanti, incaricato dal Partito Comunista di accompagnare i giovani in montagna.
La prima destinazione è il Monte Scalari, poi si uniscono alla Brigata Garibaldi Sinigaglia.
Un'altra figura storica della zona è Gastone Ciullini “Pugno di ferro”, che il 15 giugno accompagna altri coetanei di Ennio al Monte Scalari: Vinicio Grint, Luigi Di Vita e Bruno Volpi.
L'arrivo dei giovani in montagna è continuo, fuggono dai bandi di reclutamento, sono renitenti alla leva e se presi, rischiano la fucilazione.
La Sinigaglia ingrossa le sue file ed è considerata la più internazionale: ci sono tra i quindici e i venti soldati sovietici fuggiti dai campi di prigionia, come quello di Laterina in provincia di Arezzo, e almeno tre slavi, due americani e anche soldati britannici, francesi e sudafricani.
Domenica 18 giugno 1944 Ennio è a Pian d'Albero, nei boschi fra il Valdarno e il Chianti, nel casolare dei Cavicchi, una famiglia di contadini che aiuta e assiste i partigiani e dove sostano le giovani reclute destinate alla Sinigaglia.
Aronne Cavicchi, 15 anni, è solito spostare il suo gregge di pecore per avvertire i partigiani dell'arrivo dei tedeschi e dei fascisti. Quella domenica di giugno Ennio apre la porta a “Topino”, un compagno di Gavinana che li raggiunge per salutarli e gli offre dei cioccolatini. Una fotografia testimonia la presenza di Ennio al casolare col cugino Valerio e un altro compagno. Sono giovani, impreparati e disarmati.
Il 19 giugno è un giorno carico di pioggia. Alle 18.30 circa un gruppo di quattro-cinque partigiani sono in cammino verso la località di Cesto per far saltare un ponte. All'altezza della chiesa di San Martino vedono una FIAT Topolino, forse sequestrata ad un civile, con a bordo due nazisti tra cui un ufficiale. Stanno consultando una carta topografica, forse sono alla ricerca di renitenti alla leva. Il gruppo dei partigiani, tra cui Ezio Bugli e Vittorio Ceccherini con Aleandro Simoni “Lecca”, della Brigata Castellani, decide di attaccare i tedeschi.
Uno riesce a scappare, l'altro è catturato dai partigiani e trasportato verso la Casa al Vento. Ma le condizioni della strada sono pessime per le piogge e non possono proseguire. Due ex prigionieri inglesi e i contadini cercano di convincere i partigiani a trovare una soluzione per l'auto e il militare. Ma i partigiani tornano indietro e in località Ciuffona uccidono il tedesco con un colpo alla nuca e ne gettano il cadavere ai margini della strada.
Con la Topolino si dirigono, attraverso la mulattiera, verso Pian d'Albero, ma finiscono la benzina.
Decidono quindi di trascinarla con i buoi dal contadino Giuliano Caldelli e da Mario Piantini, figlio del contadino Raffaello “Il Pimpa”.
Trascinata, arriva sull'aia del casolare Cavicchi. Di sicuro ha lasciato tracce sul terreno e il tedesco, fuggito, ha avvertito subito dell'azione il suo comando presso la Fattoria del Palagio, a meno di un chilometro dal luogo dell'azione.
La notte tra il 19 e il 20 giugno al casolare Cavicchi ci sono un centinaio di persone. La pioggia impedisce alla trentina di giovani reclute, tra cui Ennio, di raggiungere la brigata nei boschi di Poggio Tondo e Poggio la Sughera. Ci sono alcuni sfollati, alcuni ex appartenenti al battaglione del Genio e tre partigiani della “Chiatti”, Ivo Bonaccini, Osvaldo Garinni, Oliviero Seccinai, che la sera dovrebbero recuperare armi e materiali di un previsto lancio alleato, che non avviene, perché la pioggia impedisce di accendere i fuochi di segnalazione. Dai Cavicchi ci sono anche una ventina di esperti partigiani, fra cui Mario Bonechi “Fregio”, Vittorio Alessi “Truciolo”, Ezio Baccetti “Carabiniere”, “Bistecchino”, Giampaolo Graiusi “Folgore”.
I primi due sono arrivati a cavallo per salutare Ennio Carresi e gli altri giovani di Ponte a Ema e decidono di rimanere lì a dormire. Non sanno niente dell'attacco alla Topolino, per loro il casolare Cavicchi è sicuro in mezzo ai boschi.
Sono le 6.30 circa di martedì 20 giugno 1944. La nebbia, dopo la pioggia, avvolge tutto il paesaggio.
I tedeschi hanno già reagito appena accaduto il fatto della Topolino, terrorizzando i contadini della zona. Vanno via con la promessa di ritornare la mattina dopo e in numero maggiore. E così è.
Alle prime luci dell'alba almeno 34 soldati del battaglione sanitario della 4° Fallschirm Jaeger Division e uomini di altre unità a bordo di camion militari si dirigono su Pian d'Albero.
La giornata di lavoro dei Cavicchi è appena iniziata.
Aronne, quindici anni, si prende cura delle pecore, il nonno Giuseppe, settantanovenne, è nello stalletto dei maiali prima del solito, perché si alza sempre alle 10, Norberto, figlio di Giuseppe, non è ancora sceso al mercato come fa tutti i martedì, Teresa Malagigi, mamma Cavicchi, è al pozzo a prendere l'acqua. Gli altri figli Cavicchi sono già attivi, Paolo si è avviato con la Topolino verso Badia Monte Scalari, non vuole che quella macchina, parcheggiata la sera precedente sull'aia del casolare, rimanga lì un minuto di più; Orlando è in cammino verso la fattoria di Badia Monte Scalari a portare latte e formaggio come tutte le settimane; la piccola Giuseppina, undici anni, esce per andare a Poggio alla Croce da Ornella, la fidanzata di Pestelli, per condurla a Pian d'Albero.
La trentina di giovani reclute dormono al piano superiore della grande capanna sul lato ovest del casolare, dove si conserva il foraggio delle bestie. Al centro c'è una botola da cui il foraggio è gettato giù nella stalla, non è molto ma almeno i giovani partigiani possono dormire all'asciutto.
Un inferno di fuoco sventra Pian d'Albero. L'attacco sorprende tutti. Non c'è scampo.
Sirio Ungherelli “Gianni”, commissario politico della “Stella Rossa”, ha sempre sostenuto che i tedeschi fossero bene informati sia della collocazione del casolare Cavicchi sia delle zone difensive dei partigiani, perché le aggirano tutte, andando a colpire il punto più debole, il casolare.
Ennio dorme nella capanna e si sveglia a causa di un urlo “C'è i tedeschi”. Cerca scampo come gli altri dalla scala principale che dà sull'aia ma muore falciato dalla mitragliatrice tedesca e finito con un colpo di calcio del fucile alla testa. Ha solo 18 anni.
Cadono così uno dopo l'altro i giovani di piazza Gavinana, di Ponte a Ema, tra cui Italo Grimaldi con il labaro militare che porta sempre con sé. Muoiono anche due giovani partigiani romani Riccardo Centanni e Fernando Renato Zocco, oggetto di un drammatico tiro al bersaglio.
I pochi partigiani armati tentano una difesa ma le forze avversarie sono molto più forti.
L'azione d’attacco non dura più di trenta minuti, anche perché sanno che il casolare è solo un avamposto e suppongono, sovrastimandoli, che l'area sia circondata da circa 2.000 partigiani. Incendiano le capanne all'esterno del casolare e radunano tutti i partigiani catturati, una trentina, a cui aggiungono Aronne e Norberto Cavicchi, e ripercorrono la strada fatta poco prima.
A Pian d'Albero è mattina, c'è il sole, sono rimaste le donne, i partigiani feriti, tra questi Ezio Baccetti, che muore il giorno dopo tra le braccia della fidanzata, e dodici morti, sono i giovani partigiani e Giuseppe Cavicchi, il nonno. Ma la strage non è finita.
I prigionieri sono portati a Sant’Andrea a Campiglia, dove in diciotto sono impiccati ad alberi di gelso, tra questi Aronne Cavicchi di quindi anni e suo padre Norberto, costretto a veder morire il figlio prima di essere impiccato. Un amico di Norberto è costretto dai tedeschi a mettergli il cappio al collo.
Le vittime di Pian d'Albero, partigiani e civili, sono trentanove.
Pochi giorni dopo i genitori di Ennio vengono a sapere della sua morte e iniziano ad adoperarsi per riportare a casa la salma. Rolando, il padre, chiede aiuto ai suoi fratelli ma il rischio è troppo grosso e non riesce a convincerli. Allora con la moglie chiede aiuto a Don Gino Bartolucci, parroco della Chiesa di San Cerbone a Castagneto, che collabora con i partigiani, ospita e cura i feriti della battaglia. Dopo una prima esitazione, il parroco si convince e dice alla domestica “Dammi gli stivali che lo porto io. Si starà a vedere!”.
Arrivano a Pian d'Albero ma non possono far nulla perché il gruppo partigiano di “Otto” li ha già sepolti.
La mamma di Ennio, rimasta a San Cerbone con la domestica, decide di incamminarsi verso il paese ma le due donne sono sorprese dai tedeschi e fatte salire sul camion anche se fortunatamente vengono liberate poco dopo da un gruppo di uomini.
Rolando è disperato per la morte del figlio e ha uno scontro con "Gracco", comandante della “Sinigaglia”, che accusa di aver gestito con troppa leggerezza la situazione e di aver abbandonato i giovani senza armi e protezione. Tornato a Firenze, lascia il lavoro al Caffè Donnini frequentato da fascisti e tedeschi, e apre una trattoria in piazza dell'Olio. Mamma Gina si chiude nella sua sofferenza.
Anche il fratello Giampaolo, si dispera. La vita della famiglia Carresi è segnata dal dolore.
Alla fine della guerra vengono preparate dodici bare per i ragazzi di Gavinana, morti nella battaglia di Pian d'Albero. Sono portate da Giulio Consigli. L'operazione di esumazione è dolorosa, si chiede a Rolando di allontanarsi, ma lui si oppone, vuole essere sicuro che tra quei morti ci sia il figlio.
È Rolando stesso a tirarlo fuori dalla fossa “Me lo sono levato da me da sottoterra. Più che dal viso o da altre cose l'ho riconosciuto dai calzini. Sul cranio aveva la fitta del colpo di grazia dato col calcio del fucile”.
Le bare vengono portate alla Villa Il merlo bianco, nel quartiere di Gavinana, dove nella piccola e vecchia chiesa si svolgono i funerali. Ennio e i suoi compagni sono sepolti al Cimitero del Pino dove un monumento ricorda il loro sacrificio.
Nel 1947 nasce Rossana, desiderata con tutto il cuore dai genitori e dal fratello Giampaolo.
Ma un altro grave lutto colpisce la famiglia Carresi: Giampaolo muore a soli 33 anni. Rossana perde a soli 16 anni quel fratello che l'ha amata anche per Ennio, il fratello che non ha mai conosciuto. Infine, l'alluvione del 1966 si porta via tutti i quadri e i disegni dei fratelli Carresi, artisti autodidatti.
Il 5 aprile del 2008 il Comune di Firenze conferisce ai familiari dei caduti di Pian d'Albero il Fiorino d'Oro, la massima onorificenza della città “Per aver sacrificato eroicamente la propria vita in una battaglia ad armi impari, scrivendo così una delle pagine più dolorose della guerra partigiana e della lotta per la liberazione della città di Firenze”.
La storia di Pian d'Albero e della famiglia Cavicchi è del tutto paragonabile a quella della famiglia Cervi. Il 25 novembre 2008 la sezione ANPI di Gavinana, con il suo Presidente Giorgio Pacini, ha siglato un gemellaggio con l'Istituto Alcide Cervi.
Ogni anno a Firenze, il 20 giugno, la strage di Pian d'Albero è ricordata in piazza Elia Dalla Costa davanti al monumento scolpito da Marcello Guasti in ricordo delle vittime. Rossana Carresi, presidente del Comitato famiglie delle vittime di Pian d'Albero e oggi presidente della sezione ANPI di Gavinana, prosegue la lotta antifascista di suo fratello Ennio e della sua famiglia.
- Matteo Barucci, “Sulla strada per Firenze. La Brigata Sinigaglia e la strage di Pian d'Albero, 20 giugno 1944”, Pacini, 2017
- “Incomincia la vita bella”, a cura di Gabriele Mori, Comune di Figline Valdarno, 2005
- Pierpaolo Putignano, “Pian d'Albero”, Kleiner Flug, 2017
- Sirio Ungherelli “Gianni”, “Quelli della Stella Rossa”, Polistampa, 1999
- “La bambola di pietra. Il racconto della bimba di Pian d'Albero e la scelta dei giovani del quartiere di Gavinana a Firenze”, a cura di Maria Venturi, LibriLiberi, 2022, pp. 115-123
Il dopoguerra, il dolore continua
Ennio Carresi, partigiano del quartiere di Gavinana, morto nella strage di Pian d'Albero nel Comune di Figline Valdarno, 20 giugno 1944
Solo dopo la fine della guerra fu possibile procedere alla riesumazione. Furono preparate le dodici bare portate a destinazione da Giulio Consigli. Venne momentaneamente a mancare la bara di Ennio. L'operazione fu complessa e dolorosa, e realizzata in due riprese, ma il babbo di Ennio rifiutò di essere allontanato. Voleva essere sicuro che il figlio fosse tra quei corpi e fu lui stesso a trarlo fuori dalla fossa.
“Me lo sono levato da me da sotto terra. Più che dal viso e da altre cose l'ho riconosciuto dai calzini. Sul cranio aveva la fitta del colpo di grazia dato col calcio del fucile.”
Riportati a Gavinana, furono esposti al Merlo Bianco, dalle suore. Poi fu fatto il funerale nella vecchia chiesina e furono tumulati al Cimitero del Pino, dove venne realizzato il monumento...iniziò il calvario della famiglia distrutta dal dolore. Giampaolo diceva: "Perché proprio lui, perchè non è toccato a me!”
La mamma cercava di tenere chiusa in sé la sofferenza. Il babbo per prima cosa lasciò il lavoro dal Donnini. “Venne via perché l'ambiente era tutto bazzicato da tedeschi e fascisti e prima o poi n'avrebbe attaccato al chiodo qualcuno, se gli fosse scappata anche una mezza parola.” Mise su una trattoria in Piazza dell'Olio. Dopo qualche tempo nacque Rossana, voluta, desiderata con tutto il cuore, ma il ricordo di Ennio continuò a essere una presenza costante nella vita di tutti.
Lettura tratta dal libro “La bambola di pietra. Il racconto della bimba di Pian d'Albero e la scelta dei giovani del quartiere di Gavinana a Firenze”, a cura di Maria Venturi pubblicato da Libriliberi
editore nel 2022
Memorie di Giuseppina Cavicchi, 11 anni, testimone della strage di Pian d'Albero nel Comune di Figline Valdarno, 20 giugno 1944
Fucilate… un urlio. Tu sentivi solo parlare in tedesco e chiamar mamma… I partigiani scappavano da tutte le parti. Qualcuno scappò sul tetto. Una cosa pazzesca, una cosa pazzesca… Tu li vedevi cascare in terra e se 'un erano morti gli vedevi dare i' colpo di grazia o co' una calcagnata nella testa o co' i' calcio del fucile.
I tedeschi – da quella finestrina si vedeva proprio bene – viaggiavan tranquilli, parlavano tra sé.
Io, icchè l'è successo alla capanna, io non lo so, io vedevo quelli che stavano scappando, un' ci si po' render conto… A volte dico io, ma che me le invento queste cose o veramente l'ho vissute? Fo anche questo ragionamento.
In un momento di tregua s'esce io, la mi' nonna, quest'altra nonna e le bambine. C'è i' cappello di' mi' nonno in terra. La mi' nonna la va per raccattarlo, la vede i' nonno morto co' una fucilata in fronte nello stalletto di' maiale. “I' mi' Beppe! I' mi' Beppe!”
I tedeschi camminavano in su e in giù. E la mi' nonna ne prese uno per la mano e cominciò a raccomandarsi “Portatemelo a letto, portatemelo a letto!” ma quelli un capivano, 'un gli davano retta.
Lettura tratta dal libro “La bambola di pietra. Il racconto della bimba di Pian d'Albero e la scelta dei giovani del quartiere di Gavinana a Firenze”, a cura di Maria Venturi pubblicato da Libriliberi editore nel 2022