Giovanni Martelloni

L'Ufficio affari ebraici, le persecuzioni e le razzie

Giovanni Francesco Martelloni nasce a Firenze il 14 gennaio 1908 in una famiglia agiata di commercianti. Il padre si chiama Arturo, la madre Pia Beccattini. Arturo fa parte della Società italiana protettrice dei fanciulli con sede in via Pietrapiana 30 e dell'Automobil club con sede in via Ginori 13 ed è socio dell'Unione ippica italiana delle corse al trotto. Nel 1939 è pubblicato a suo nome dalla Reale Accademia delle arti del disegno di Firenze un concorso di pittura.

Giovanni Francesco è un giovane alto, elegante, buon conversatore, è troppo giovane per partecipare alla Prima guerra mondiale ma cresce nel culto della guerra e della trincea. Si dedica alla scrittura e nel 1925 pubblica il dramma teatrale “Carnasciale” e poi “Orazione”, che celebra il volo atlantico di Italo Balbo del 1931. Nel 1934 si sposa e diventa padre. Cambia molte residenze, Milano, Libia e molte località toscane. Viene condannato a Pisa per appropriazione indebita.

Nel 1940 pubblica la lirica “Aria di marzo. Squadristi all’addiaccio nella notte del ventennale”, dedicandola a Mussolini. Con l'entrata in guerra, parte volontario per l'Albania, da cui torna ferito e invalido.

Nel 1942, a Firenze, in licenza di convalescenza dal fronte, è in attesa di una pensione di guerra e inizia a pubblicare articoli antisemiti. 

L'11 settembre 1943 i tedeschi occupano Firenze e richiedono l'elenco degli ebrei e dei comunisti presenti in città. La questione degli ebrei fiorentini rientra nella loro politica della “soluzione finale”, lo sterminio di massa degli ebrei d’Europa.

La politica antisemita della neocostituita Repubblica Sociale Italiana si lega perfettamente alla politica antiebraica.  

Martelloni frequenta il Centro fiorentino per lo studio del problema ebraico che gli permette di tessere importanti relazioni e conoscenze. Il Centro diventerà successivamente l'Ufficio affari ebraici, organo centrale della politica repressiva della Repubblica Sociale Italiana e cambierà sede, nella Casa di Dante, fino al 20 gennaio 1944 poi in via Cavour 26 nella casa confiscata all'avvocato ebreo Bettino Errera.

A capo dell’Ufficio affari ebraici, istituito il 21 dicembre 1943, il nuovo prefetto Raffaele Manganiello, nominato il 1° ottobre, mette il suo amico personale Giovanni Francesco, giovane fascista con numerosi precedenti penali per truffa, violenza privata, usurpazione di titoli e antisemita dichiarato. Martelloni è il commissario prefettizio e finoù a quel momento non ha mai ricoperto cariche pubbliche. 

L’Ufficio affari ebraici, a pochi passi dalla prefettura in Palazzo Medici Riccardi, è l'unico esempio del genere in Italia ed è ricordato come “l'anticamera della morte”.

Gli impiegati del Centro fiorentino per lo studio del problema ebraico passano all'Ufficio affari ebraici, dimostrando che era stato un centro di formazione della politica antisemita fiorentina. Tra gli impiegati il cognato di Martelloni Cipriano Passetti, responsabile della Sezione sequestri e accertamenti.

La struttura agisce in stretto contatto con gli occupanti tedeschi e si avvale del fondamentale aiuto e delle preziose informazioni del Reparto dei Servizi Speciali, la Banda Carità. Il rapporto tra Mario Carità, comandante della banda, e Martelloni è strettissimo. Bruno Pastacaldi, uno degli uomini di Carità, è il volto violento dell'Ufficio affari ebraici, è un torturatore, incaricato di operare fermi. Per ogni arresto c'è una taglia premio di 3.000 lire.

L'Ufficio affari ebraici parte avvantaggiato, potendo contare sugli elenchi e sui dati raccolti negli anni dal Centro fiorentino per lo studio ebraico che devono essere solo aggiornati. Gli ebrei fiorentini non hanno scampo, ogni informazione anagrafica e di proprietà che li riguarda è tracciata. 

Martelloni ha carta bianca su tutto, gode della protezione assoluta del prefetto che gli concede ampi poteri, anche oltre quelli previsti dalla legislazione della Repubblica Sociale, per esempio la firma sui provvedimenti di confisca dei beni, sottraendola all'ente preposto, l'EGELI (Ente di Gestione E Liquidazione Immobiliare). Alle sue dipendenze ha venticinque uomini, il ricatto, la violenza e lo spionaggio sono i suoi strumenti. Può inoltre contare su delazioni e spiate di zelanti fiorentini. 

Martelloni va a caccia personalmente di ebrei, scovandoli nei conventi, nelle case private, ovunque, e li depreda di tutti gli averi. Gli oggetti sequestrati, che non piacciono a Martelloni o ai suoi, sono ammassati nel tempio israelita e messi a disposizione di chi ha perso tutto dopo i bombardamenti angloamericani: è sufficiente presentare un buono rilasciato dal Comune. 

Si porta dietro le fototessere degli ebrei fiorentini, appese nelle falde di un lungo cappotto, pratico nascondiglio da cui estrarle per poterli subito riconoscere. Quando trova ebrei, prima li depreda dei loro beni e poi li consegna ai reparti tedeschi.

L'Ufficio è chiamato a risolvere i casi dubbi, riconoscendogli una speciale competenza sul tema ebraico. Martelloni ha un potere di vita e di morte e a volte tratta la liberazione di ebrei, dietro ricompense.

Dalle colonne de “Il Nuovo Giornale”, di cui è collaboratore fisso, pubblica una serie di articoli intitolata “Ebrei a Firenze”, sulla storia della comunità ebraica fiorentina. Un antisemitismo che cerca di fondarsi su nozioni scientifiche, che ha un volto falsamente moderato, che vuole nascondere la realtà delle deportazioni e delle spoliazioni di cui è l'artefice. 

Una delle più gravi è quella del 27 novembre 1943 presso le suore del Santo Nome di Gesù di piazza del Carmine, dove da settembre, sono nascosti una cinquantina tra donne e bambini tutti catturati e deportati. 

Martelloni riesce a scovare il patrimonio della Sinagoga grazie alla Compagnia di assicurazione con cui la Comunità ebraica aveva stipulato una polizza. Il tesoro era stato diviso in 18 casse: 11 depositate nella villa di Augusto Chimichi a Fiesole e 7 a Villa Il Palco di Giorgio Forti, a Prato, già proprietario della villa in Via Varchi, requisita per diventare la prima “Villa Triste” di Firenze.

I beni della Comunità ebraica vengono confiscati tra il 22 e il 26 febbraio 1944.

Secondo la polizza assicurativa sono conservati argenterie e paramenti sacri per un valore di 2 milioni di Lire e Bibbie manoscritte. I beni ebraici sono ormai “beni statali ex ebraici”. Le casse sono trasportate a Firenze al Banco di Napoli. Martelloni è pronto ad avventarsi sul bottino: non informa la Soprintendenza, come da disposizioni, perché un funzionario possa giudicarne il contenuto. Organizza invece due aste per vendere i beni sottratti alla comunità ebraica per raccogliere denaro liquido che gli consente di scappare al Nord.

Martelloni scappa da Firenze i primi di luglio 1944, distruggendo quasi interamente i documenti dell'Ufficio affari ebraici e portando con sé i beni della Sinagoga, poi ritrovati. Si rifugia con la famiglia a Rovagnate, in provincia di Lecco.

Nel luglio 1950 si apre alla Corte d'Assise di Firenze il processo contro l'Ufficio affari ebraici, la “Banda Martelloni”. Gli imputati da 68 sono stati ridotti in fase istruttoria a 42, tra questi, Martelloni, che è latitante. La comunità ebraica fiorentina si costituisce parte civile, l'avvocato che la difende è Dino Lattes. 

L'impianto accusatorio, costruito in un'istruttoria durata cinque anni dai giudici Ferruccio Ferrari Bravo, Gastone Baschieri, Paolo Cerrina Feroni, Luigi Fumia, con la raccolta di prove e testimonianze schiaccianti, è fatto cadere dal giudice istruttore Pietro. 

Il processo fin dalla partenza non giudica gli atti di persecuzione. I gravi capi d'imputazione di collaborazionismo e associazione a delinquere cadono, resta il collaborazionismo a scopo di lucro. L'accusa più grave a Martelloni “concorso in omicidio aggravato e sequestro di persona” è fatta cadere per “assoluta mancanza di prove”. 

Durante il processo al centro del dibattito vengono messi gli oggetti rubati, i furti e non le deportazioni, le persecuzioni e gli omicidi. Le razzie e le persecuzioni, a danno della comunità ebraica fiorentina, sono ridotte ad un affare di ladri, malcostume e disonestà. I deportati semplicemente dei derubati. Niente di più.

Martelloni, antisemita dichiarato, per il giudice istruttore ha voluto solo depredare le vittime, facendo bottino dei loro averi, non ha voluto denunciarli in quanto ebrei.

L'Ufficio era un'emanazione diretta della Repubblica Sociale Italiana, non un ufficio indipendente: riducendo le pene, si riduce la responsabilità di un organo di quello Stato. 

Da Firenze furono deportati più di trecento ebrei, solo quindici tornarono, sette uomini e otto donne.

Il 4 agosto 1950, il processo alla Banda Martelloni si conclude davanti a un pubblico poco numeroso e indifferente. A Martelloni, latitante, non viene riconosciuto alcun reato, nemmeno il collaborazionismo a scopo di lucro. Ne esce assolto, perché “eseguì gli ordini”.

Il suo vice e cognato Cipriano Passetti è immediatamente scarcerato alla lettura della sentenza, tutti i membri dell'Ufficio sono assolti, è riconosciuto solo qualche reato minore. I reati di furto e estorsione, quando provati, sono estinti, perché amnistiati. 

Le colpe riconosciute si scaricano sui tedeschi e sui morti che non possono replicare, come scrive la giovane cronista de “Il Mattino” Oriana Fallaci.

Giovanni Francesco Martelloni esce dalla latitanza ma non torna più a Firenze, si dedica alla critica d'arte con lo pseudonimo di Jo Collarcho e vive con la sua famiglia a Brescia, dove muore il 10 agosto 1973.

  • Marta Baiardi, "Persecuzioni antiebraiche a Firenze: razzie, arresti, delazioni", in "Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI. Persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945)", a cura di Enzo Collotti, volume I, Carocci, 2007, pp. 45-140
  • Id., "Le tavole del ricordo. Guerre e shoah nelle lapidi ebraiche a Firenze 1919-2020", Viella, 2021
  • Riccardo Caporale, "La Banda Carità. Storia del Reparto Servizi Speciali (1943-1945)", San Marco Litotipo, 2005 
  • "Firenze in guerra 1940-1944", a cura di Francesca Cavarocchi – Valeria Galimi, Firenze University Press, 2014
  • Carlo Francovich, "La Resistenza a Firenze", La Nuova Italia, 1975
  • Enrico Iozzelli, "Il collaborazionismo a Firenze. La RSI nelle sentenze di Corte d'assise straordinaria e Sezione speciale, 1945-1948", Regione Toscana, Consiglio Regionale, 2020 

     

Le persecuzioni contro gli ebrei. Il processo alla Banda Martelloni
La banda Martelloni prende il nome dal suo capo, Giovanni Francesco Martelloni, capo dell'Ufficio Affari Ebraici della Prefettura di Firenze durante la Repubblica Sociale Italiana

Giovanni Martelloni era un giovane alto, discretamente elegante, buon conversatore, e avvezzo -  è quel che si dice - a giocare con la propria esistenza nei modi più disparati. In fondo, comunque, faceva sul suo. 
Il guaio fu quando Giovanni Martelloni cominciò a giocare con la vita degli altri. Iscrittosi al partito fascista repubblicano, il giovane (aveva allora 35 anni) si ritrovò a capo del cosiddetto “ufficio affari ebraici”. Quale fosse il genere di “affari” sbrigati da quell'ufficio lo si vide chiaramente poco dopo, allorchè Giovanni Martelloni, che agiva in carta bianca, iniziò la propria attività, in aperto contrasto col codice penale e con quello umano, circondato da una schiera di fedeli esecutori d'ordini.
I saccheggi vennero denominati requisizioni, gli arresti si mutarono in deportazioni. 
Ebbe inizio, così, la via crucis degli israeliti fiorentini. Molti finirono a Dachau, cenerizzati nei forni a gas. 
E i più fortunati, tranne qualche eccezione, si ritrovarono a far la vita della selvaggina braccata, costretti a fuggire in un senso o nell'altro coi soli vestiti per bagaglio.
Lettura tratta dall'articolo “Il processo Martelloni domani all'Assise di Firenze” pubblicato sul quotidiano “La Nazione” il 5 luglio 1950


Ladri o persecutori? Il processo alla Banda Martelloni
La banda Martelloni prende il nome dal suo capo, Giovanni Francesco Martelloni, capo dell'Ufficio Affari Ebraici della Prefettura di Firenze durante la Repubblica Sociale Italiana

Piero Koch, Mario Carità, Cecchi, Gino Bussotti e Dante Bianchini. Ma in questi giorni in Assise essi compaiono solo coll'accusa di razzie, rapine, furti, sequestri arbitrari. Questa, infatti, la materia del processo, volutamente ristretto a questi capi d'imputazione. 
Ragion per cui alle udienze, anche quando a discorrere non sono le solite scialbe figure di ricettatori ma imputati di maggior mole come il Passetti, il Pastacaldi ed il Cialdi si sente parlar solo di mobili razziati, preziosi fatti sparire nelle proprie tasche come giochi di prestigio, ricevute non date, e somme di denaro indebitamente arraffate. 
La musica, forse, cambierà oggi, allorchè cominceranno a comparire le parti lese e i testimoni. E allora sarà, purtroppo, una ben triste musica: al racconto dei mobili rubati, si mescolerà anche il racconto delle deportazioni, dei marchi sul braccio dei campi di Auschwitz, di Mauthausen, di Dachau, delle camere a gas, dei suicidi per disperazione.
Lettura tratta dall'articolo di Oriana Fallaci, “Sui tedeschi e sui morti si tenta di scaricare le responsabilità”, pubblicato sul quotidiano “Il Mattino dell'Italia Centrale” dell’11 luglio 1950

Le persecuzioni contro gli ebrei. Il processo alla Banda Martelloni
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Ladri o persecutori? Il processo alla Banda Martelloni
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Giovanni Martelloni. Il cacciatore di ebrei e l'Ufficio affari ebraici di Firenze
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